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Il progetto, lo strumento e lo spirito del tempo: Matrix4Design incontra Mario Botta

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La creatività e i suoi strumenti, l’analogico e il digitale a confronto nel tempo: quando le condizioni cambiano e le possibilità si moltiplicano non è facile stabilire il confine tra opportunità e limite. Per questo oggi il mondo del progetto è chiamato a riflettere sulle radici del processo creativo per cercare un equilibrio tra antico e contemporaneo capace di sfruttare il potenziale del software senza rinunciare alla purezza del tratto di matita. Non stupisce allora che l’incontro-scontro tra tradizione e modernità sia stato uno dei temi al centro della conversazione tra Mario Botta e Maurizio Riva durante Possibilità. Progetto o disegno?, il secondo appuntamento del ciclo Maledetto Design curato da Alessandra Coppa che si tiene ogni mercoledì presso il Centro Culturale di Milano. L’occasione perfetta per approfondire l’argomento proprio insieme all’architetto Mario Botta, che ha risposto alle nostre domande aprendo uno squarcio inedito di conoscenza sul modo di fare design, tra passato, presente e futuro.

Quanto il processo creativo viene influenzato dagli strumenti di progettazione? Cosa cambia se si disegna con una matita oppure con un software?

“Io sono un uomo d’altri tempi, lo strumento lo uso come strumento, non ha una sua finalità. Tuttavia, ha sicuramente un’influenza, perché se dovessi disegnare solo con un tizzone di carbone avrei una certa approssimazione, mentre se utilizzo il computer posso controllare i decimi di millimetro e dunque la differenza c’è.

Detto questo, gli strumenti devono supportare un’idea e l’idea progettuale ha a che fare con l’eterno problema di creare un oggetto che sia un oggetto del nostro tempo, sia riconoscibile come contemporaneo. Non importa che cosa facciamo, noi guardiamo un bicchiere, una sedia, un tavolo, una lampada e immediatamente, nonostante funzioni così diverse, siamo in grado di associarli ad un’epoca determinata e ad uno stile preciso: del resto, il design non è altro che il grafico veritiero della sensibilità del proprio tempo storico in relazione agli oggetti d’uso quotidiano.

Da questo punto di vista, è importante che l’autore, l’artigiano o l’artista colgano lo spirito del proprio tempo: fare una sedia dopo Thonet, per esempio, è diverso che farla prima di Thonet, perché Thonet ha creato una forma archetipica che rappresenta lo spirito forte di quell’oggetto e di quella funzione e non è stato possibile finora trovare un’altra configurazione altrettanto forte. Nel nostro immaginario, anche se vediamo una seduta fatta in tempi molto diversi, abbiamo come elemento di riferimento Thonet perché ormai si tratta di un classico iconico.

In questo senso, lo strumento cambia con il tempo, la tecnologia e anche con le mode ma ciò che è importante per l’autore è la capacità di interpretare le condizioni del suo tempo, consapevole dell’ironia che sorregge una produzione oggi sempre più aleatoria, puramente di consumo: ormai non creiamo una sedia perché ne abbiamo bisogno ma per rispondere alle esigenze di un mercato nato attorno al design, in cui il surplus del vivere occidentale si esprime attraverso oggetti che sono anzitutto uno status symbol.”

Se l’atto del progettare è dunque così fortemente condizionato dal tempo e dalle circostanze, esistono secondo lei degli elementi, delle tecniche, dei materiali che trascendono le epoche?

“Il materiale è una parte importante del tempo storico, non tanto per la sua resistenza strutturale quanto per la sua facilità o difficoltà di essere recepito come strumento di lavoro. Indirettamente, il materiale condiziona il processo creativo: se io ho un materiale povero posso utilizzarlo in maniera più disinvolta che se devo lavorare, che so, con l’argento o con l’oro, materiali che mi consentirebbero un grado di sperimentazione molto più limitato.

Il materiale è quindi uno strumento importante perché fornisce la struttura ma, per sua natura, non appartiene ad un’epoca piuttosto che a un’altra, piuttosto è l’occhio dell’uomo che lo vede in maniera diversa nel corso del tempo e lo utilizza di conseguenza.

In generale, per quanto riguarda tutto il fatto creativo, noi siamo solo apparentemente liberi ma, in realtà, nel nostro subconscio, ci portiamo sempre dietro i condizionamenti dovuti alle circostanze e agli esempi che abbiamo di fronte a noi. Il problema è come noi, nonostante tali condizionamenti, possiamo ancora inventare un oggetto che risponda alla sensibilità del nostro tempo senza essere una bizzarria dalla vita limitata.”

Alla luce di questo e di un mondo che cambia sempre più velocemente, che consiglio darebbe ai giovani designer che si affacciano oggi al mondo della progettazione?

“Secondo me, i giovani non hanno bisogno di consigli ma di esempi. I consigli non servono perché ci sono degli innamoramenti rispetto a forme, a luci o materiali che non possono essere razionalizzati: bisogna accoglierli con rispetto. Gli esempi invece sono importanti: io posso arrivare fino ad un certo punto a interpretare lo spirito del mio tempo, e lo ammetto per poi lasciare spazio ad altre forme espressive, che magari possono urtarmi o sembrarmi incomprensibili ma è giusto che esistano, anche solo per dimostrarsi effimere e poi decadere. Da questo punto di vista, il tempo è il miglior architetto del mondo, razionalizza, semplifica e seleziona. Alla fine è lui a decidere che cosa resta.”