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Biennale Architettura 2018, Matrix4Design incontra Mario Botta

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Architetto poliedrico di fama internazionale, Mario Botta è uno di quei nomi che nel corso della sua lunga carriera ha contribuito a plasmare una visione unica e innovativa (lui direbbe: “etica”) del progetto, che spazia dall’edilizia residenziale all’architettura sacra passando per i grandi edifici pubblici e le importanti sedi museali (due progetti su tutti: il MOMA di San Francisco e il MART di Rovereto). Tra i temi fondamentali del suo operato ci sono il simbolismo della luce, la sostenibilità delle strutture, la sintonia con il contesto umano e ambientale, il rapporto inscindibile con la memoria: aspetti che, a partire dal 1996, sono confluiti nel programma dell’Accademia di Mendrisio, scuola di architettura dall’approccio alternativo che mette al centro dell’insegnamento l’alta cultura umanistica. Non stupisce dunque che, in occasione della Sedicesima Biennale di Architettura da poco inaugurata a Venezia a cura di Grafton Architects, Mario Botta sia stato chiamato a partecipare al progetto “The practice of teaching”, finalizzato ad attirare l’attenzione proprio sulla trasmissione del sapere architettonico al pubblico e in particolare alle nuove generazioni. Abbiamo colto l’occasione per porgli alcune domande.

 

Il tema della Biennale di Architettura di quest’anno è Freespace: che cosa significa oggi per lei, in qualità di architetto, progettare uno spazio autenticamente “libero”? In quale accezione interpreta questo aggettivo?

Freespace dice tutto e dice niente. Penso che lo spirito interpretato dalle curatrici fosse quello riferito allo spazio architettonico, al di là delle funzioni tecnico-distributive. Lo spazio quindi dove l’uomo può scegliere liberamente di sostare, di muoversi o di interpretare senza i vincoli imposti dalla destinazione d’uso.”

 

Un altro aspetto al centro della Biennale di quest’anno è il rapporto dell’architettura con il contesto ambientale e con le comunità che lo abitano. Quanto sono importanti queste due componenti nel suo lavoro progettuale? Come si relaziona ad esse?

“L’architettura è fatta per offrire all’uomo spazi di vita ideali. I modelli proposti di volta in volta devono pertanto rispondere antropologicamente agli usi e alle funzioni così come alla storia e alla memoria di un determinato contesto e di una determinata comunità. È per questo che credo sia sempre opportuno usare tipologie e materiali che possiedano affinità con il clima e l’ambiente dell’intorno.”

 

A Venezia parteciperà con il suo studio al progetto speciale The practice of teaching, che vuole promuovere la cultura dell’architettura valorizzando l’importanza dell’insegnamento. Qual è il suo pensiero sul tema della didattica? A che punto è oggi il dialogo con i giovani? Che cosa bisognerebbe fare per migliorarlo?

“Il mio pensiero sulla didattica? La didattica viene soprattutto dall’esempio, da quanto il pensiero architettonico, la speranza e l’utopia implicite per creare un mondo migliore riescano a interpretare la realtà paesaggistica e sociale della nostra congiuntura storica. Rispondere alla cultura e alle attese del proprio tempo è il fatto prioritario dell’opera di architettura. Il dialogo con i giovani è indispensabile perché permette di cogliere le prospettive di atteggiamento e di vita che si presentano all’orizzonte. Dialogo ancora più proficuo se si trasforma in uno scambio reciproco dal quale i docenti apprendono dalle nuove generazioni.”

 

Da sempre sostiene che in architettura il valore etico deve prevalere su quello estetico. Che caratteri deve avere secondo lei oggi un’architettura veramente “etica”?

“Un’architettura etica deve essere sostenibile in tutte le accezioni possibili di questo termine: non solo ecologiche ma anche funzionali e morali, in grado di rispondere alle speranze di un nuovo mondo migliore.”

 

Per chiudere, uno sguardo al futuro. Come immagina l’architettura di domani? Quali tendenze finiranno per imporsi? 

“Purtroppo l’architettura di domani non sarà determinata dagli architetti ma verrà imposta dalle leggi che regolano la società dei consumi (basta guardarsi attorno). Ogni sforzo per testimoniare nuove speranze deve sempre credere, interpretare e consolidare i valori permanenti con i quali si è via via costruita la storia dell’umanità. Per dirla in termini strettamente professionali, penso che il territorio della memoria proprio oggi – paradossalmente nel bel mezzo della società dei consumi – possa essere un contesto ideale di riferimento per il lavoro dell’architetto.”