Grandi progetti, nuove visioni. L’identità di Progetto CMR, società italiana leader nel settore della progettazione integrata, si è costruita negli anni sulla base di un approccio multidisciplinare pensato per trattare le molteplici componenti di ogni progetto inteso nella sua complessità, strutturando spazi sempre orientati al benessere di chi li abita. Una strategia le cui fondamenta rispondono a criteri di sostenibilità, innovazione tecnologica e qualità della vita, ossia tutti quei fattori che hanno reso Progetto CMR un punto di riferimento nel mondo del progetto a livello mondiale, con interventi destinati a diventare autentici modelli per le generazioni future. In occasione di Klimahouse 2019 abbiamo incontrato l’architetto fondatore Massimo Roj e gli abbiamo posto alcune domande.
Secondo lei quali sono le caratteristiche che un edificio deve avere oggi per essere definito «sostenibile»?
«Dal nostro punto di vista, un edificio è sostenibile se è a misura d’uomo, conforme alle esigenze di chi lo utilizzerà e certamente alle norme in essere ma, più opportunamente, a quelle che saranno. Tra venti, trent’anni le circostanze di contesto potranno cambiare, così come le condizioni climatiche e le abitudini delle persone. Sostenibile significa resistente, capace di durare e mantenersi nel tempo.»
Quale ruolo ricopre la tecnologia nel progettare secondo criteri sostenibili?
«La tecnologia deve sempre essere al servizio della mente umana: ci può aiutare a rielaborare e mettere in pratica conoscenze che in alcuni casi sono anche storiche. Per esempio, la progettazione bioclimatica è radicata nell’architettura del passato, in cui già si trattavano temi come l’isolamento termico e la ventilazione naturale: oggi la tecnologia ci permette di migliorare e potenziare queste condizioni. Inoltre, se intesa come generale digitalizzazione dei processi, la tecnologia si rivela fondamentale: il processo BIM consente di esaminare simultaneamente le diverse entità che compongono il progetto, raccogliendo numerose e complesse informazioni in unico strumento e agevolando così enormemente lo sviluppo del progetto stesso.»
Come cambia la relazione tra uomo e architettura quando quest’ultima si fonda su principi di eco-compatibilità?
«La relazione è sempre strettissima: architettura e città costituiscono degli autentici sistemi viventi proprio perché sono abitate da essere viventi. Il loro funzionamento deve quindi essere di tipo “metabolico”, in grado cioè di produrre, di consumare, di rigenerare e tornare a produrre. Architetti, natura, persone devono essere parte di un sistema olistico e si deve cercare di mettere a fattor comune tutti quegli elementi che ci conducono al raggiungimento dell’obiettivo finale, ossia il benessere di chi abiterà quegli spazi.»
Un progetto di architettura «sostenibile» al quale ha lavorato di recente?
«Posso citare il Purple Jade Slow River Bay, il masterplan che stiamo curando nella zona nord della Cina al confine con la Corea: si tratta del primo slow-eco-smart village, che è nato dall’esigenza di creare tre alberghi e che noi abbiamo invece immaginato come una sorta di “albergo diffuso”. È sorto così un villaggio montano il cui fulcro è costituito dalla piazza, da cui si dipanano le strutture dove i piani inferiori sono occupati dagli spazi commerciali mentre i livelli superiori ospitano gli alloggi. Questo è un progetto olistico: unisce fattori determinanti come la qualità della vita, il rapporto con la natura e la sostenibilità ambientale e infine la tecnologia, grazie ad una serie di funzioni smart che aiutano a migliorare la fruibilità del luogo.»