Architetto eclettico dal carattere schietto, Emanuele Svetti è un mix di verace toscanità e spirito internazionale, impegnato fin dalla fondazione del suo Studio Svetti Architecture ad Arezzo nel 2004 in un processo di ricerca tecnico-progettuale che guarda alla (ri)scoperta dei materiali e all’eredità artigianale come punti di partenza per l’elaborazione di uno stile nuovo, che lui definisce New Tuscan Style. Reinterpretare la tradizione in chiave contemporanea, superando l’ideale canonico di bellezza per rilanciare la sfida di un’architettura dal valore intrinseco, fondata su essenzialità ed esclusività, è l’obiettivo di ogni suo lavoro, in cui la semplificazione della complessità è resa possibile da una conoscenza approfondita di ogni fase del progetto, curato fin nel minimo dettaglio. Lo abbiamo incontrato e gli abbiamo posto alcune domande riguardo al suo lavoro e ai suoi progetti presenti e futuri. Ecco quello che ci ha raccontato.
Quali sono gli elementi che caratterizzano la sua filosofia progettuale? Di quale genere di progetti si occupa principalmente il suo studio?
Quando progetto il mio obiettivo primario è sempre quello di rendere il più possibile semplici strutture complesse: fin dalle origini del mio lavoro ho cercato di comprendere come ottenere il massimo risultato progettuale senza rinunciare all’accessibilità per tutti, pur nella complessità di relazioni che ogni progetto comporta, a partire dalla committenza ma non solo. Detto questo, io lavoro per dare forma ai sogni, siano essi di una persona, di una società o di un’azienda. Questa consapevolezza è alla base della mia professionalità e per tale ragione invito quotidianamente i miei collaboratori in studio ad allargare i propri orizzonti di pensiero, a guardare oltre, anche a costo di rivedere più e più volte il progetto. Del resto, a mio parere, la fase progettuale di ogni lavoro è sempre la più importante.
Per quanto riguarda la tipologia di progetti su cui lavoriamo, la sfera d’azione è molto ampia: ho cominciato la mia carriera occupandomi di contract alberghiero all’interno del gruppo Del Tongo e lì, insieme a Gianluca Colombo, attuale direttore commerciale di Driade, ho imparato a confrontarmi con altri professionisti e in particolare ho compreso in profondità i processi di produzione del mobile, cosa che permette oggi al mio studio di lavorare sull’arredo con una cura del dettaglio impensabile in altri studi.
Una cura del dettaglio che le deriva anche dalla sua terra d’origine, la Toscana, uno dei templi della bellezza italiana. Che cos’è la bellezza per lei? Che cosa la ispira?
La mia principale fonte d’ispirazione è sicuramente il viaggio. Del resto, per me ogni progetto è un viaggio e ogni viaggio è un progetto: cerco sempre nuovi stimoli, ma anche nuovi punti di vista nei posti che già conosco. A tal proposito, vivere in Toscana aiuta indubbiamente nel generare una condizione di abitudine al bello, un bello insuperato e forse irripetibile. Nel tempo l’esperienza mi ha poi consentito di maturare una concezione della bellezza in architettura direi fuori dagli schemi, non più legata puramente all’aspetto estetico: la bellezza per me è oggi soprattutto un fattore intrinseco, legato alla qualità delle relazioni e dell’esperienza prodotta da un luogo e dalle persone che lo vivono. L’idea creativa così intesa passa anche attraverso l’uso di materiali e oggetti inediti, come dimostra per esempio il progetto di Un diavolo per capello, un salone di parrucchieri dove abbiamo scelto di “annientare” l’ambiente, rendendolo quasi asettico per porre al centro della scena un cubo giallo, capace di celare e al tempo stesso esaltare il cuore pulsante del locale.
Detto questo, ci tengo a sottolineare che tutti i miei progetti hanno un’anima. Sono riconoscibili pur senza essere legati ad una precisa identità iconografica: il tratto che li accomuna è l’esclusività, la capacità di non ripetersi mai. Ogni progetto vive di vita propria ed è unico nel suo genere. Questo è un altro aspetto della mia toscanità: definisco il mio stile New Tuscan Style proprio perché miro ad esaltare lo spazio nella sua ineguagliabile unicità, come facevano i grandi artisti del Rinascimento toscano su impulso dei loro mecenati.
D’altro canto, l’ispirazione che viene dal passato va vissuta anche come monito a riflettere sulle ragioni per cui oggi in Italia non riusciamo più ad essere arrembanti e innovativi come un tempo, preferendo ripiegarci sulla conservazione di ciò che abbiamo, un aspetto importante ma che non può essere il nostro unico fine, soprattutto quando va ad ostacolare l’arrivo del nuovo in maniera miope. A causa di questo conservatorismo noi oggi rischiamo di perdere anche il nostro patrimonio di artigianalità, quello che ci distingue e che ci rende unici al mondo. All’estero, al contrario, c’è una maggiore abitudine al nuovo, direi una tensione verso la sperimentazione che io stesso ho rilevato a apprezzato lavorando altrove, in Spagna, Turchia, Cina, Stati Uniti. Da questo punto di vista, noi italiani dovremmo prendere esempio.
Quali sono i progetti da lei realizzati che meglio rappresentano la sua idea di architettura e interior design?
Sono diversi. Uno di essi è sicuramente il ristorante Saffron di Arezzo: ha riscosso notevole successo e rappresenta in pieno la mia ricerca della bellezza oltre il bello, attraverso l’uso di materiali inediti come il legno recuperato, che sono stato uno dei primi a proporre, in questo caso combinato ad una selezione di elementi custom e pezzi di design. Fondamentale è stata poi l’apertura di Mass Beverly a Los Angeles, diventato in poco tempo lo showroom di riferimento per il design in California. Un altro progetto che mi piace citare è lo store Càos di Silvia Bini a Viareggio, completato in meno di un anno e molto apprezzato dagli addetti ai lavori nonostante abbia avuto scarsa visibilità sulla stampa di settore per una precisa scelta di riservatezza della proprietaria.
Su quali progetti invece sta lavorando al momento?
Tra gli interventi in corso d’opera abbiamo l’apertura di un ristorante ad Arezzo: il lavoro è cominciato tre anni fa puntando sulla dominante del color melanzana poi virato al vinaccia, una scelta cromatica che ha contribuito al lancio di una vera e propria tendenza sul tema. Ancora, stiamo preparando il progetto per una villa residenziale a Panama con vista sull’oceano Pacifico: si tratta di un intervento il cui completamento non è imminente ma che penso potrà incarnare appieno il mio concetto di bellezza intrinseca, anche attraverso la grande importanza conferita al contesto naturale, senza cedere al protagonismo della struttura.