Nel bel mezzo di tempi che sembrano cambiare a velocità aumentata, domandarsi come sarà il futuro che ci aspetta tra cinque, dieci, cent’anni è praticamente inevitabile. S’immagina facilmente che le rivoluzioni saranno profonde ed estese, allargate ad ogni ambito della vita: muteranno l’ambiente e la società, le persone e i loro modi di vivere. Tuttavia già oggi ci sono alcuni che lavorano con entusiasmo per costruire soluzioni e opportunità destinate a traghettare le nostre esistenze verso il domani, con l’obiettivo di migliorarlo. Uno di loro è Carlo Ratti, architetto e ingegnere italiano, fondatore dello studio CRA – Carlo Ratti Associati con sede a Torino e a New York, direttore del Senseable City Lab presso il prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. Tra i suoi tanti meriti basti dire che è lui il teorico della nuova “città sensibile” ma anche l’ideatore della stupefacente installazione Living Nature. La Natura dell’Abitare, protagonista all’ultimo Salone del Mobile di Milano: un visionario del progetto capace di spingere sempre oltre i confini dell’innovazione, come dimostrano le sue tante opere realizzate o in divenire. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per indagare il futuro che attende noi e le nostre città.
La Senseable City è un modello di città che nel futuro sarà “vivificata” dalla tecnologia, in grado di percepire le esigenze dei suoi abitanti e di rispondervi adeguatamente. In questo senso quali sono i cambiamenti concreti e immediati che dobbiamo aspettarci? Quale sarà il ruolo dell’architettura urbana in questo contesto?
“Direi che la Senseable City è una città umana, tanto ‘capace di sentire’ attraverso sensori digitali quanto ‘sensibile’ rispetto ai bisogni dei suoi cittadini. E’ il risultato del progressivo ingresso delle tecnologie digitali e del cosiddetto Internet delle Cose nelle nostre vite e nello spazio delle nostre città, iniziato negli ultimi vent’anni e destinato a intensificarsi nel futuro prossimo. Tutto questo ci permette di trovare soluzioni nuove per vecchi problemi – dalla mobilità al consumo energetico, dall’inquinamento allo smaltimento dei rifiuti, dalla pianificazione urbana alla partecipazione dei cittadini.
Come conseguenza l’immagine dell’architettura stessa potrebbe cambiare. Se, come si dice spesso, l’architettura è una sorta di terza pelle – dopo quella biologica e gli abiti che indossiamo – per molto tempo si è trattato in realtà di un rivestimento rigido, quasi un corsetto. Ci piace lavorare per far sì che un domani, grazie alle tecnologie digitali nello spazio, l’ambiente costruito possa adattarsi meglio alle nostre abitudini, dando vita a un’architettura dinamica, modellata sulla vita che si svolge al suo interno, e non viceversa.”
Il suo studio Carlo Ratti Associati è stato protagonista dell’ultima edizione della Milano Design Week grazie all’esperimento Living Nature. La Natura dell’Abitare, focalizzato sul rapporto tra città e natura e sul tema del controllo climatico. Anche alla luce della reazione dei visitatori, quali sono le conclusioni che avete tratto da questo progetto? La natura è destinata a riappropriarsi delle città? In che modo? Come andrà gestito questo processo?
“Mi permetta di iniziare dicendo che il padiglione è nato dalla comune volontà – insieme al Salone del Mobile – di esplorare la relazione tra natura e città, con l’obiettivo di alimentare un dibattito sul design sostenibile nello spazio urbano, compreso l’ambiente domestico. Con Living Nature abbiamo voluto suggerire una diversa prospettiva su come affrontare i temi della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico, portando anche nel cuore di Milano uno spazio nel quale soddisfare il nostro istintivo amore per la natura – quella che il mio collega biologo all’università di Harvard Edward O. Wilson chiamerebbe ‘biofilia’.
Per rispondere alle sue domande, sono abbastanza d’accordo sul fatto che la natura sia ‘destinata a riappropriarsi delle città’. Nel Ventesimo Secolo l’idea prevalente era quella di portare la città verso la campagna. In Inghilterra Ebenezer Howard coniò il termine Garden City, e presto molti satelliti di Londra seguirono quel modello. Pochi anni dopo, sull’altro lato dell’Atlantico, Frank Lloyd Wright teorizzò Broadacre City: città di ampi spazi in cui la natura regnava sovrana. I risultati però furono deludenti, con la distruzione di ampissime aree Verdi attorno alle nostre metropoli. A molti decenni di distanza credo quindi dovremmo trovare soluzioni diverse. Non più la città che conquista la campagna, come nel secolo passato, ma la campagna che ritorna in città. Grazie alle nuove tecnologie, infatti, oggi possiamo portare il verde dove prima non c’era – pensiamo ad esempio alla coltivazione idroponica o alle tecnologie della rete che sostengono il successo degli spazi di urban farming.”
Un’altra prova decisiva sarà la riqualificazione dell’ex area di Expo Milano 2015, che avete pensato come una vera e propria anticipazione della città del futuro. Quali sono gli aspetti più innovativi del progetto? Milano ha le qualità per diventare una città pioniera dell’innovazione a livello globale?
“Il progetto sperimenta con molte dimensioni della vita urbana: i nuovi modi di lavorare, di passare il tempo libero, di spostarsi. Non vogliamo però utilizzare la tecnologia come fine ma come mezzo per vivere meglio. Credo che il contatto con il verde e con la natura – variabili fondamentali per il nostro benessere e tuttavia spesso dimenticate da progettisti del Novecento – avrà un ruolo fondamentale nella città di domani.
Al cuore dell’ex sito di Expo ci sarà un parco lineare lungo oltre un chilometro che ricalca l’ex percorso del Decumano: il verde che torna al posto dell’asfalto. Inoltre, il progetto propone di creare un Common Ground – uno spazio ad uso pubblico a livello zero alto due piani, che si snoda attraverso tutte le aree. Qui vanno ad alternarsi piazze e aree pedonali, orti e giardini, negozi, laboratori ed edifici a corte, in uno scambio continuo tra ambienti aperti e chiusi, pubblici o più raccolti, favorendo l’interazione tra le persone.
Lo spirito pionieristico del progetto si estende anche al campo della mobilità. L’ex area Expo diventerà il primo quartiere al mondo progettato per auto che si guidano da sole o autonome. Abbiamo ipotizzato di procedere per fasi, pianificando accuratamente la transizione. In un primo momento, le macchine senza guidatore potranno circolare soltanto in alcuni tratti, poi su tutto il sito. In generale, direi che la volontà di sperimentare nel settore della mobilità autonoma nasce dallo studio di quella che potrebbe essere la mobilità nel futuro prossimo. Molte case automobilistiche hanno in programma di lanciare sul mercato macchine autonome (o senza guidatore) nei prossimi 3-5 anni.
Quanto a Milano, la metropoli è da sempre tra le città d’Italia più votate all’innovazione. È un polo imprenditoriale, tecnologico, culturale: un luogo in cui negli ultimi anni si è imparato a fare sistema tra i vari attori del territorio, come dimostra bene il caso di Expo. Questi fattori, insieme alla forza del suo sistema universitario, ne fanno un laboratorio ideale.”
Lo sviluppo dell’Internet of Things e l’estensione delle reti sono rivoluzioni che cambieranno sempre di più il modo di abitare e di vivere la quotidianità delle persone. Quali sono le opportunità principali che derivano da questa evoluzione? Esistono anche dei rischi? Se sì, come si dovrà agire per evitarli?
“Come accennavo prima, le opportunità presentate dallo sviluppo dell’IoT e l’estensione delle reti sono molteplici e avranno impatto su numerosi aspetti della società urbana, dalla mobilità, alla sostenibilità, alla sanità, alla partecipazione civile.
Per quanto riguarda i rischi derivanti da questa evoluzione, vorrei sottolineare che la tecnologia è, di solito, neutra: sta a noi decidere come usarla. Pensiamo, ad esempio, alle auto a guida autonoma e ai due scenari a cui possono condurre.
Le auto che si guidano da sole avranno un impatto fortissimo sul nostro modo di intendere la città. La nostra automobile, dopo averci portato al lavoro la mattina, invece che restare parcheggiata potrebbe rimettersi di nuovo in strada, per raggiungere a dare un passaggio a scuola a nostro figlio, o a un amico, o a chiunque altro nel quartiere. Insomma una nuova mobilità a cavallo tra trasporto privato e trasporto pubblico, che ci potrebbe permettere di ridurre drasticamente il numero totale di veicoli in circolazione e di liberare vaste aree di città (a esempio gli spazi di parcheggio, che potrebbero essere liberati e destinati ad altri usi – per esempio piccoli parchi urbani o nuovi spazi pubblici). Tuttavia, potremmo avere anche scenari meno rosei, in cui il numero totale di autoveicoli nelle nostre città potrebbe aumentare, se il costo del trasporto con auto a guida autonoma divenisse così basso da farle entrare in competizione con i mezzi pubblici. Per evitare scenari di questo tipo dovranno essere prese decisioni politiche: credo che il ruolo dei progettisti sia proprio quello di stimolare il dibattito.”
Oltre al lavoro sull’ex area Expo, quali sono i progetti più significativi in cui sarà impegnato prossimamente? Quali sono le sfide da vincere negli anni che verranno?
“Molti progetti – ne cito solo due: a Parigi la trasformazione di tutta l’area della Torre Eiffel e a Singapore la costruzione di un nuovo grattacielo di circa 300 metri, con una foresta tropicale sospesa al centro (progettato insieme agli amici dello studio danese BIG: il cantiere è già partito).
Tra le sfide da vincere, collettivamente, direi che il cambiamento climatico e l’integrazione sociale nelle città sono ai primi posti.”