Un gusto tutto italiano per la bellezza, l’innovazione e il buon vivere sapientemente declinato in ottica internazionale, puntando sull’armonia tra progetto e contesto. Sono questi gli ingredienti più importanti (non certamente gli unici) che rendono la ricetta progettuale di studio Piuarch così apprezzata in Italia e all’estero. Fondato nel 1996 a Milano da Francesco Fresa, Germán Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Tricario con l’obiettivo di esplorare nuove visioni di architettura secondo un approccio multidisciplinare, Piuarch vanta oggi numerose realizzazioni che toccano trasversalmente i temi della tecnologia, del recupero e dell’ambiente, tra collaborazioni illustri ed esperimenti coraggiosi. Per saperne di più, ecco la nostra intervista.
Piuarch è uno studio da sempre conosciuto e apprezzato non solo per il linguaggio essenziale e mai “invadente” ma soprattutto per la capacità di leggere il contesto e relazionarsi con le preesistenze. Un caso esemplare, in questo senso, è la nuova sede della maison Gucci a Milano, nata come intervento di recupero della novecentesca fabbrica Caproni. Come si è svolto il processo progettuale e quali sono stati i caratteri più importanti dell’intervento?
“Ci piace molto raccontare la storia di quest’area, che da oltre un secolo rappresenta un’eccellenza per la città di Milano: all’inizio del Novecento era l’emblema dell’avanguardia produttiva italiana, il luogo dove venivano sperimentati i primi apparecchi a uso dell’aviazione civile. Vicino al già esistente Aeroporto di Linate Enrico Forlanini, lo stabilimento Caproni era una cittadella virtuosa in un territorio di campagna, attrezzata con una pista privata di decollo e atterraggio, circondata dalle abitazioni degli operai e dei dipendenti, con un refettorio, un campo sportivo, un museo aziendale e il servizio tram che la collegava al centro di Milano. La sua organizzazione funzionale e la bellezza della sua struttura sono riusciti a conservarla per decenni, dopo la chiusura della produzione nel 1950. Di fronte a questo luogo simbolo dell’imprenditoria italiana, il nostro intervento è stato orientato a un’attenta conservazione, nel rispetto del sito e delle sue specificità, per dare accoglienza alla maison Gucci. Il progetto ha recuperato i segni architettonici storici, arricchiti dalle più recenti tecnologie e da soluzioni innovative per definire un ambiente di altissima qualità estetica, funzionale e rappresentativo. I capannoni dismessi hanno ancora le stesse caratteristiche materiche e strutturali, le facciate in mattoni a vista e le tradizionali coperture a shed, grazie a interventi di consolidamento e di ripristino. Inoltre, attraverso la loro disposizione in pianta, creano una continua relazione tra interno ed esterno, secondo un sistema di percorsi e corti piantumate. Un tessuto fitto di pieni e vuoti, all’interno del quale è stata inserita una nuova torre di 6 piani, con una facciata in vetro scandita da brise-soleil in metallo antracite: un parallelepipedo che si contrappone al rosso delle facciate in cotto degli edifici ex Caproni.”
Il complesso IDF Habitat Headquarters è invece il primo progetto che avete realizzato in Francia, dopo le precedenti esperienze in Russia e Corea del Sud. Come esplorate i mercati stranieri e con quali strumenti?
“Dedichiamo molte energie per costruire opportunità di progettazione in nuovi mercati e per accrescere la nostra internazionalizzazione. La Francia, insieme a Stati Uniti, Brasile e Polonia, è sicuramente uno dei paesi in cui stiamo lavorando con maggiore continuità: abbiamo iniziato ad affiancarci a uno studio locale già nel 2013 per condividere la candidatura a concorsi a procedura ristretta. Grazie a questa attività, abbiamo vinto il concorso per la progettazione dell’ headquarters IDF Habitat a Champigny-sur-Marne, nelle immediate vicinanze di Parigi: la sede è stata inaugurata nel 2017, dopo circa due anni di cantiere. Un traguardo essenziale, che ci ha permesso di ottenere una referenza importante e di poter quindi acquisire altri lavori in territorio francese: oltre all’attività di candidatura a gare a procedura ristretta, che continuiamo a portare avanti, stiamo infatti progettando la ristrutturazione di un centro commerciale a Montecarlo e un complesso multifunzionale a Cap D’Ail.”
È interessante il rapporto che da molti anni lega il vostro studio con il brand di moda Dolce&Gabbana: dopo Metropol, le numerose boutique in tutto il mondo, le sedi direzionali milanesi e lo stabilimento a Incisa val d’Arno, come si sta evolvendo il legame con i due stilisti?
“Abbiamo conosciuto Dolce&Gabbana alla fine degli anni ’90: allora i due stilisti cercavano qualcuno che potesse interpretare le loro idee; professionisti italiani che, come loro, condividessero la stessa attitudine alla creatività, alla tradizione, alla scelta dei materiali, alla cura per la bellezza, l’armonia e il dettaglio. L’incontro è stato fortunato: insieme abbiamo voluto lavorare attraverso il contrasto tra l’involucro architettonico – moderno ed essenziale ma allo stesso tempo arricchito di citazioni ai linguaggi dell’arte e delle avanguardie – e gli interni, decorati con tessuti, colori, arredi e complementi legati alle collezioni della maison e all’origine siciliana dei fondatori. Si è trattato anche per noi di un lavoro di alta sartoria, per costruire edifici con un’identità forte e chiara e con una grande attenzione ai particolari architettonici e ai materiali; gli spazi delle diverse architetture, inoltre, sono stati disegnati per essere modificati nel tempo a seconda delle necessità.
Con questo spirito abbiamo progettato lo stabilimento di Incisa val D’Arno, il primo Headquarters Dolce & Gabbana di via Goldoni a Milano, il quartier generale del marchio D&G in via Broggi, il secondo Headquarters Dolce&Gabbana in viale Piave a Milano, di fianco allo spazio per eventi e sfilate Metropol, che avevamo ristrutturato qualche anno prima. Questi importanti complessi sono stati accompagnati dall’apertura di moltissime boutique in tutto il mondo e da progetti di ristorazione, come il Gold. Dopo vent’anni, Dolce&Gabbana è ancora un nostro committente: per loro ci stiamo infatti occupando di una nuova sede per uffici a Milano.”
Da una committenza illuminata e dinamica, come quella di Dolce&Gabbana, ci spostiamo invece all’estremo opposto. Parliamo del caso del progetto per il Centro Congressi a Riva del Garda, dove i lavori procedono a singhiozzo. Quale sarà il suo futuro, possiamo dire di essere finalmente a un punto di svolta?
“Purtroppo ci troviamo di fronte al paradosso di un progetto che ha ottenuto un grande consenso da parte dei cittadini e degli amministratori, in una regione oltretutto in cui i mezzi economici non mancano; eppure, l’inefficienza burocratica è diventata un vero ostacolo per l’avvio e la buona riuscita di questo intervento. Nel 2007 abbiamo vinto il concorso per questo edificio, che dovrebbe ampliare e riqualificare il centro congressi già esistente, rafforzando l’affaccio sul lago e costruendo un sistema di spazi pubblici arricchiti dalla presenza di verde e dalla visuale verso l’acqua e il paesaggio. Ma, a oltre dieci anni di distanza, non è ancora stata posata la prima pietra. In tutto questo tempo siamo intervenuti a più riprese sul progetto, insieme all’architetto Andrea Palaia, nostro partner: sono state completate le fasi di progettazione preliminare ed esecutiva, sono stati più volte preparati i documenti di appalto e aggiornati i disegni sulla base delle normative vigenti. Ma il nostro edificio è ancora sulla carta, a dimostrazione di come noi architetti ci troviamo ancora a combattere contro la cattiva abitudine, tipicamente italiana, dell’immobilità burocratica.”
L’Orto sul tetto, infine, è forse l’opera che più di tutte rappresenta la vostra filosofia progettuale. Come la sintetizzereste? Quali sono i valori più importanti che volete veicolare con i vostri progetti e con questo in particolare?
“Da sempre lavoriamo nella direzione della sfida più entusiasmante dell’architettura: migliorare le condizioni del vivere insieme. E questo può succedere mettendo a disposizione dei fruitori, in ogni situazione, caratteristiche tali da incentivare le interazioni sociali, stimolare il benessere, creando nello stesso tempo qualità estetica e sostenibilità. L’Orto sul tetto, che abbiamo realizzato nel 2015 convertendo la copertura della nostra sede, ha avuto proprio questo obiettivo: uno spazio che offre molte cose in una ed è insieme strumento paesaggistico, decorativo, di autoproduzione alimentare, progetto di riqualificazione energetica dell’edificio, spazio di rappresentanza, socialità e coworking per chi lavora nell’edificio. Questa piccola area verde, creata in collaborazione con Cornelius Gavril, sintetizza perfettamente quello che intendiamo per qualità ambientale. Possiamo dire che la nostra filosofia trova qui le sue radici, proprio come fosse una pianta.”