HomeArchitetturaGiuseppe Tortato: la mia missione? Costruire per le persone

Giuseppe Tortato: la mia missione? Costruire per le persone

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In un mondo che sembra rincorrere una tendenza nuova ogni giorno, la chiacchierata che abbiamo fatto di recente con l’architetto Giuseppe Tortato, fondatore dello studio milanese che porta il suo nome, ha il ritmo di una tranquilla passeggiata nel giardino del pensiero profondo e consapevole. La sua visione dell’architettura, del resto, affonda le radici negli Stati Uniti, presso quella scuola di Paolo Soleri (e per osmosi di Frank L. Wright) dove ogni atto del progettare trovava il suo senso nella riflessione sulla società e sull’uomo.

Questa formazione, imperniata su uno sguardo complesso, olistico, culturalmente ampio, trova oggi espressione evidente nel lavoro di Tortato: dai progetti più grandi e significativi, come l’opera di riqualificazione culminata nel complesso de La Forgiatura e il recente completamento dell’Arcadia Center a Milano, fino ai lavori su scala più ridotta, ciò che conta resta il dialogo con il contesto e il rapporto con le persone, vere destinatarie finali del discorso architettonico.

Un ritratto dell’architetto Giuseppe Tortato. © Marco Tortato – Yorick Photography

Architetto Tortato, per lei la soddisfazione più grande del progettista deve venire proprio da loro, dalle persone?

Decisamente sì, e di recente mi è capitato più volte, sia per il mio progetto Arcadia Center sia nel caso de La Forgiatura, che le associazioni di zona mi esprimessero il loro apprezzamento per il lavoro svolto. Ecco, il senso del mio lavoro sta qui: noi architetti lavoriamo per chi abita i luoghi che costruiamo. Certo, dobbiamo fare i conti con gli sviluppatori, che sono i nostri primi clienti, ma l’obiettivo rimane quello di ottenere un riscontro positivo da parte delle persone, grazie ad un processo di valorizzazione autentica dei quartieri e delle zone su cui interveniamo. L’architettura deve dialogare con il contesto nel quale si inserisce, rispettarne la storia e le preesistenze, gli spazi vissuti da generazioni di persone, portando allo stesso tempo innovazione.

Una visione ambiziosa. Come riesce a realizzarla, rispondendo allo stesso tempo anche alle richieste del mercato e alle mode del momento?

Con il mio studio cerco di creare delle architetture che siano almeno in parte opere d’arte e di verità, e a volte certamente questa ricerca di autenticità incontra anche le tendenze del momento: noi già molti anni fa parlavamo di verde e di natura, per esempio, elementi che oggi sono sulla bocca di tutti e fanno parte del linguaggio comune. Il rischio in questi casi è che il fattore moda sopravanzi la verità dell’opera. Io penso, a questo proposito, che il vero verde sia quello che invade lo spazio e lo condiziona in modo spontaneo: se il progetto è troppo “controllato”, diciamo pure “recintato”, solo per rispettare le aspettative del momento e “vendere il prodotto”, allora perde la sua forza evocativa, di rottura, fecondazione e rinascita.

Studio Tortato – Progetto La Forgiatura, Milano. © Stefano Topuntoli

Una forza che ha fortemente a che fare con il valore sociale dell’architettura.

Certamente, l’architettura ha un profondo ruolo sociale, non può essere concepita solo come un involucro per le nostre attività: essa è allo stesso tempo espressione e forza creatrice del pensiero. Gli architetti hanno una grande responsabilità, e per questo devono agire come esseri pensanti, portare avanti la propria visione al di là degli stereotipi e delle mode, per generare spazi veri e autentici, che mantengano inalterato il loro valore nel tempo.

Per lei la ricerca di autenticità è in effetti fondamentale, perché nel tempo è in grado di generare un senso di appartenenza legato alle architetture, rendendole dei riferimenti identitari di un luogo e di una comunità. Come si innesca questo processo?

A mio parere, un edificio genera appartenenza se è in grado di stimolare i recettori primordiali, cioè i sensi nella loro prima, immediata efficacia. Con i miei progetti, cerco di rivolgermi agli aspetti istintivi dell’essere umano, lavorando su elementi veri, universali, capaci di generare un benessere autentico perché realmente percepito, e non solo raccontato attraverso uno storytelling accurato. Il mio desiderio è che chi si reca in un mio edificio continui a starci bene oggi come tra mille anni.

Studio Tortato – Progetto Arcadia Center, Milano. © Moreno Maggi

Mi faccia un esempio.

Le parlo di un progetto piccolo, rispetto a quelli su cui sono impegnato di solito. Stiamo lavorando a Venezia sulla realizzazione di un ristorante. Ci lavoriamo dal 2014 e quest’anno il lavoro si concluderà. In 7 anni, io e il proprietario Fabrizio De Nardis, titolare della catena di panetterie e pasticcerie Majer, abbiamo cercato di andare oltre i modelli imposti dal mercato per portare dei valori assoluti in una città che ne è ricchissima, grazie alla sua storia. Ne è nato uno spazio rarefatto che si chiamerà Refettorio, nel quale ogni dettaglio è stato da me progettato per restituire un senso di benessere vero e autentico in chi lo frequenta. Per esempio, ho lavorato molto sulla matericità, per cui abbiamo scelto una pavimentazione realizzata da una fornace che esiste da più di mille anni vicino a Napoli, un cotto azzurro dove abbiamo fatto incidere il nome della fornace, il nome di Majer e il nostro. Oppure, ancora, spicca la personalità di un grande bancone in ebano e peltro. Il luogo acquisisce così un’identità unica e di straordinario impatto, diventa un luogo di bellezza.

E che cos’è per lei la bellezza?

La bellezza per me è questa: vera, immediata, inequivocabile, intensa come una bruciatura del fuoco sulla mano. La bellezza deve riportarci alla nostra essenza di esseri umani, al di là dei condizionamenti della società.

Studio Tortato – Progetto Fibercloud per Fastweb HQ, Milano. © Paolo Riolzi

Anche le città stanno riportando al centro l’essere umano, o almeno ci stanno provando, diventando più sostenibili, più vicine ai bisogni dei cittadini. Che sta succedendo?

Sicuramente è in corso una crisi di valori di quella società troppo legata ad un’idea di spazio urbano sviluppato per favorire l’uso dell’automobile. Per esempio, oggi si sta affermando, anche sul mercato, il concetto di città in 15 minuti, anche se bisogna tenere presente che tutto questo è vero per chi abita nelle grandi città, ormai pronte a rigettare un modello sorpassato per cercare vie alternative. Non si può dire lo stesso delle province, dove invece il vecchio modello è ancora molto forte.

Ad ogni modo, a Milano e non solo, fare rigenerazione urbana significa oggi riportare l’attenzione sul quartiere. Sembra che in effetti si stia affermando l’idea di una città policentrica e siamo probabilmente, se non di fronte al fallimento di un modello, sicuramente alla fine di un ciclo. La sensibilità, soprattutto quella delle nuove generazioni, sta cambiando. Occorre quindi una rigenerazione del pensiero, che conduca a una riappropriazione delle diverse zone urbane da parte dei cittadini. In questo percorso, il Covid è stato sicuramente un elemento acceleratore, basti pensare alla riscoperta degli spazi di prossimità e alla nuova abitudine a ritrovarsi e a mangiare all’aperto.

Insomma, il modo di vivere la città sta cambiando, non so quanto volontariamente, ma la direzione è positiva. Sicuramente ogni cambiamento viene spinto in parte dal mondo economico: Milano continua a rinnovare sé stessa anche per produrre sempre nuovo business. Tuttavia, io ho sempre pensato che la spinta degli affari non vada combattuta ma sfruttata, innestandovi degli elementi positivi. E qui sta la responsabilità dell’architetto nel pensare alle esigenze delle persone, nell’elaborare una visione. Questo si fa soltanto attraverso una profonda cultura. Essere architetto non può essere una condizione ridotta a mero titolo di studio: ancora una volta, serve una forte coscienza sociale, calata nel mondo e nell’umano.

Studio Tortato – Progetto Fibercloud per Fastweb HQ, Milano. © Paolo Riolzi

Su quali progetti sta lavorando?

Non posso dire molto, ma sto lavorando su progetti di rigenerazione di ex aree industriali su scala abbastanza ampia a Milano. Il nostro lavoro è molto ben accolto dagli abitanti delle zone interessate, che spontaneamente ci hanno manifestato il loro apprezzamento e questa, come ho già detto, è davvero la nostra più grande soddisfazione.

Ciò che stiamo realizzando in zona Certosa, dove siamo presenti con alcuni grossi interventi, risponde perfettamente alla nostra filosofia di dare qualcosa alla città, di aprirsi verso la natura, di generare un benessere diffuso che passa anche attraverso la differenziazione delle funzioni degli edifici presenti in uno stesso quartiere, cosa che oggi i clienti ci chiedono sempre di più.

L’obiettivo è infatti quello di riportare una parte della produzione in città, magari quella artigianale, dando forma a un ecosistema a chilometro zero che poi conferirà anche maggiore autenticità e credibilità agli oggetti stessi che vengono prodotti. Questa è una sfida che secondo me Milano e altre grandi città dovranno vincere: crescere senza perdere la propria anima, che poi è fatta dalle persone che vivono e lavorano. Oggi le persone vogliono abitare luoghi vivi e vitali in tutti i loro aspetti, e hanno decretato il fallimento della zonizzazione degli anni passati.

Studio Tortato – HQ Sandvik, Milano. © Carola Merello

La pandemia ha un ruolo in tutto questo? Che conseguenze ci saranno nel medio lungo termine?

Certamente questo processo è stato stimolato dalla pandemia, così come a causa di essa è stato riscoperto il piacere di vivere nei piccoli centri, nonostante Milano si confermi una città attrattiva. L’architettura è chiamata a riflettere su questo cambiamento, come dimostra per esempio la necessità di ripensare lo spazio di lavoro. Quando stanno bene in un ambiente, le persone sono anche più produttive e creative. Dunque, gli uffici devono favorire questo stato di benessere, ruotando attorno alle esigenze delle persone, ristabilendo il contatto con la natura e con la luce naturale, per esempio. Noi lo facemmo 15 anni fa con la ristrutturazione della ex Richard Ginori, perché sapevamo che quando le persone sperimentano una realtà diversa e conoscono il piacere, non sono più capaci di tornare indietro.

Un auspicio per il futuro?

Il mio auspicio per il futuro è che le persone siano capaci di sviluppare un pensiero al di là dei condizionamenti a cui siamo sottoposti e su di esso possano costruire una nuova visione di innovazione e progresso per poi distribuirla nella comunità. Serve davvero una nuova educazione al benessere.