Progettare l’esperienza: il metodo FaseModus

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Lo spazio come motore di creatività, generatore di esperienze: dalla pianificazione territoriale all’architettura corporate, dallo studio del paesaggio al retail, questo è il concetto alla base del metodo FaseModus. Un approccio progettuale innovativo che gli architetti Luca Bucci e Stefano Cellerino applicano dal 2015, anno di fondazione del loro studio a Milano, con l’obiettivo di imprimere un’evoluzione nel design dello spazio, sia esso privato o pubblico, professionale, commerciale o ricreativo. Durante una lunga chiacchierata online, abbiamo provato a conoscerli meglio.

Un ritratto di Luca Bucci e Stefano Cellerino, architetti di FaseModus.

L’attività dello studio FaseModus si articola attorno a progetti molto diversi tra loro per tipologia e destinazione finale, dal paesaggio al retail, dall’ufficio all’hospitality. Come si riconosce la vostra firma?

LUCA BUCCI Io e Stefano ci conosciamo dai tempi dell’università e abbiamo compiuto percorsi paralleli: io mi sono dedicato in misura maggiore all’urbanistica e all’edilizia mentre Stefano ha lavorato di più nel campo dell’interior design e del retail. A un certo punto le nostre strade si sono unite, anche per via di una comune attitudine che abbiamo nell’affrontare progetti di così ampio spettro, un’inclinazione che ci porta a progettare un negozio così come un parco con il medesimo approccio metodologico. Questo approccio è innanzitutto empatico, perché consiste nella capacità di immaginare come le persone possono muoversi all’interno dei luoghi; di conseguenza, lavoriamo per concepire spazi capaci di accogliere e generare relazioni, un aspetto per noi fondamentale. Questo avviene in ogni progetto, con varie declinazioni a seconda della tipologia.

Per esempio, in questo periodo stiamo curando il progetto di un orto botanico a Cernusco sul Naviglio e le prime informazioni che abbiamo richiesto non sono state relative alle piante ma piuttosto alle caratteristiche di vita del luogo: da chi è frequentato, come viene utilizzato. A partire da qui, il nostro lavoro è quello di creare dei dispositivi che possano facilitare lo svolgimento di determinate funzioni oppure possano complicarle intersecandole con altri modi d’uso.

STEFANO CELLERINO A tal proposito, un altro esperimento interessante che risale a qualche anno fa è stata la progettazione di un segmento di Carrefour – denominato Carrefour Rural – in occasione della quale abbiamo scardinato le logiche dei flussi abituali del supermercato a partire dal concetto di città, evocandone la piazza e i viali. Questa visione è risultata molto efficace dal punto di vista commerciale, tanto che poi Carrefour l’ha applicata in diversi punti vendita. Un’ulteriore dimostrazione di come lo stesso metodo può essere applicato a spazi che vanno dalla grande scala al singolo scaffale.

Il tema dell’empatia progettuale si ricollega a quello della biofilia, i cui principi si ritrovano chiaramente nei vostri interventi. Ci chiarite meglio questo concetto?

LB Sì, si tratta di un derivato naturale di quanto detto prima. Fare architettura biofilica per uffici implica, per esempio, valutare con cura il cambiamento del flusso di luce durante il giorno, porre attenzione ai materiali e alla loro tessitura, alle scelte cromatiche. Occorre immaginare gli effetti di tutti gli elementi sulla percezione dello spazio da parte delle persone: permettere loro di guardare fuori dalla finestra e vedere una parete di rampicanti anziché un muro di cemento significa abbassare la temperatura mentale, garantire un livello migliore di benessere.

Emporio Olio Carli di Piazza Tricolore a Milano. © FaseModus

Un benessere che ha a che fare anche con la sostenibilità, intesa nel suo senso più ampio.

SC Certamente, il tema della biofilia si lega strettamente a quello della sostenibilità. In particolare, per quanto riguarda il settore retail, abbiamo creato un team ad hoc che include tutte le competenze necessarie su più fronti, dall’identità visual alla riduzione dell’impatto ambientale, oltre a una società di sviluppo apposita che ci consente di offrire un servizio a 360 gradi. Inoltre, abbiamo una partner importante, Elisabetta Tonali, che possiede una materio-teca tra le più importanti d’Italia, e anche grazie a lei abbiamo imparato a trasmettere ai brand con cui lavoriamo l’importanza di agire in direzione di un maggior rispetto dell’ambiente, per esempio attraverso l’impiego di materiali eco-compatibili certificati, il cui valore deve essere comunicato al meglio. Senza dubbio questo messaggio viene recepito più facilmente da alcuni clienti invece che da altri: il lavoro di rinnovamento dei punti vendita che abbiamo fatto con Olio Carli, per citarne soltanto uno, è stato molto semplice perché l’azienda è una BCorp e dunque per sua natura molto ricettiva rispetto a questi temi. Oggi, comunque, la sensibilità sta aumentando in tutti i settori.

A proposito di retail, che tipo di processo genera la costruzione di spazi realmente rappresentativi di un brand? Qual è il vostro ruolo di architetti rispetto alla committenza?

SC Noi realizziamo spazi di marca, per cui solitamente partiamo dall’identità del marchio, se serve dallo studio della brand identity. Sviluppiamo quindi un progetto coerente con l’identità e il posizionamento del marchio, per creare uno spazio che venda, certo, ma anche tale da offrire un’esperienza al cliente. Questo approccio porta sensibili risultati e questo è il motivo per il quale spesso continuiamo ad accompagnare il cliente come consulenti per il retail, oltre che come progettisti. Vorrei citare, a tal proposito, Simonetta Simonelli, che è la nostra visual di riferimento e ci supporta proprio nei progetti retail, seguendo ogni aspetto, dalle vetrine all’illuminazione.

Di recente ci siamo occupati delle vetrine del nuovo store Lanerossi, dove siamo riusciti a raccontare una storia e ad anticipare in modo efficace quello che si trova all’interno; ancora, nel caso di Olio Carli, abbiamo combinato la presenza di un monitor visuale all’accenno di una tavola apparecchiata. L’unione di tecnologia e prodotto fisico funziona molto bene. Sempre sul tema del retail, aggiungo che un importante brand di moda ci ha da poco incaricato dello sviluppo di un pop-up in vista delle Olimpiadi Invernali del 2026: il concept mixerà contenuti e luxury style, ma non possiamo dire di più.

Parco Archeologico di Laus Pompeia a Lodivecchio, Lodi. © FaseModus

D’altro canto, quando vi occupate dello studio del territorio, il processo creativo e progettuale necessariamente cambia forma, si amplifica ed evolve. Basti pensare all’approccio adottato per il Parco Archeologico di Laus Pompeia a Lodivecchio, in provincia di Lodi. Quali sono le principali sfide che vi trovate ad affrontare in questo tipo di contesti? Com’è il rapporto con le istituzioni e con le altre parti coinvolte?

LB Questi progetti sono particolarmente complessi. Solitamente, nascono da un’idea che può venire da noi, dalla cittadinanza, dall’amministrazione. Dopo un dialogo serrato con tutti gli attori coinvolti, proponiamo una nostra interpretazione del possibile funzionamento del luogo, prendendo in esame le relazioni che si possono creare con il contesto ambientale e sociale. Nel caso del Parco Archeologico, abbiamo lavorato su un progetto di scala almeno provinciale, immaginando il percorso di un turista che – poniamo – viene da Milano, deve posteggiare l’auto, può usufruire di un servizio di bike sharing per attraversare il parco dopo aver studiato le mappe ciclabili e alla fine può decidere di andare a prendere il caffè a Lodi. A partire da ipotesi come questa, mettiamo a punto gli strumenti necessari per trasformare la realtà, proponendo anche soluzioni inedite. Per esempio, in questo intervento abbiamo chiesto alla Sovrintendenza di cambiare la destinazione del posteggio auto nei giorni infrasettimanali, trasformandolo in un campo giochi dove i ragazzi possono giocare a tennis, basket e calcetto. Lo spazio è utile così a un maggior numero di persone, che hanno necessità diverse tra loro.

Qual è l’aspetto più difficile in questi casi?

LB Mantenere alta la tensione. Riuscire a mantenere vive le energie che portano avanti il progetto. Per esempio, la seconda fase del lavoro sul Parco Archeologico di Lodi si è concentrata sul Museo, nato da una rifunzionalizzazione di una stalla ottocentesca: è stata un’operazione di adeguamento molto complessa e a un certo punto l’impresa che aveva vinto l’appalto pubblico è fallita. In quel momento è stata importante la convinzione di tutte le parti in causa nel proseguire il percorso. Questo genere di problematiche fanno dilatare i tempi: le amministrazioni cambiano e non sempre la sintonia è la stessa. Serve tenacia.

E la maggiore soddisfazione?

LB Senza dubbio la possibilità di sperimentare nuove soluzioni di sostenibilità, in particolare attraverso il lavoro sugli spazi pubblici. Il fatto di doverci attenere a protocolli molto stringenti, previsti per esempio dal PNRR, ci impone di impiegare materiali da costruzione la cui sostenibilità è garantita lungo tutta la filiera, dall’approvvigionamento della materia prima fino allo smaltimento. Queste competenze le riportiamo poi su progetti di scala diversa, come retail e uffici, rilevando tra le altre cose che negli ultimi anni l’attenzione al rispetto dell’ambiente è molto più presente anche nel settore privato. In questo senso ha aiutato anche l’abbassamento dei costi: l’approvvigionamento delle risorse sostenibili è locale e l’incidenza della speculazione è nettamente inferiore, il che li rende oggi particolarmente convenienti.

Parco Archeologico di Laus Pompeia a Lodivecchio, Lodi. © FaseModus

Una maggiore sensibilità alle tematiche ambientali si riscontra anche nel lavoro che state portando avanti per il restyling del Camping Cevedale, dove c’è la volontà di realizzare un upgrading rispetto alla preesistenza proprio in questa direzione. Come si concilia l’accoglienza di alto livello con l’esperienza autentica della natura?

SC La pandemia ha accelerato la tendenza verso un tipo di vacanza più a contatto con la natura e allo stesso tempo, una volta superata, ha accentuato la ricerca della socialità. La clientela del campeggio è quindi aumentata diventando più esigente. E sì, c’è una maggiore attenzione sul piano dell’ecologia. Questo cambio di sensibilità, in aggiunta alla richiesta di servizi migliori, è stata una delle ragioni alla base della necessità di trasformare il Camping Cevedale, originariamente una struttura a due stelle, in una struttura a quattro stelle. Per realizzare un upgrading di questo tipo non è sufficiente offrire un ristorante di livello più alto o una spa, occorre un intervento complessivo. Innanzitutto, abbiamo scelto di potenziare il legame con il territorio, sia sul piano naturale sia sul piano sociale, favorendo lo scambio con la comunità locale. Con l’aiuto di un paesaggista, abbiamo trasformato l’esperienza naturalistica del luogo, valorizzando le piante locali e generando esperienze: gli ospiti possono per esempio raccogliere in autonomia i frutti di bosco e fare la loro marmellata.

Quando pensate all’utente finale, al fruitore dei vostri spazi, qual è l’obiettivo più importante che vi ponete?

LB La mia più grande soddisfazione come architetto l’ho avuta quando, una volta ridisegnati completamente gli uffici di ERM Italia (multinazionale inglese che si occupa di valutazione di impatto ambientale), collocati in una palazzina Anni Settanta nei pressi della Stazione Centrale di Milano, uno dei giovani ingegneri mi ha ringraziato per il lavoro svolto. Quando si lavora su questo tipo di spazi, così circoscritti, è importante andare oltre il semplice concetto di postazione scrivania, perché oggi il luogo di lavoro ha un altro scopo: favorire l’incontro e lo scambio anche informale tra le persone, all’interno di ambienti confortevoli dove è possibile creare relazioni e innescare processi creativi.

SC Lo stesso vale per il retail, quando emerge la soddisfazione per il risultato finale da parte di tutte le persone che partecipano al progetto e che hanno come obiettivo la valorizzazione del prodotto e dell’esperienza ad esso legata.

HeadQuarter ERM Italia a Milano. © FaseModus

Sempre sul tema dell’ufficio, particolarmente interessante e innovativa per la visione proposta è stata anche l’esperienza con IPG Italia. Ce la raccontate?

LB Sì, abbiamo lavorato sulla loro sede di via Spadolini a Milano. Ci siamo concentrati sulla realizzazione di spazi generatori di creatività, assolutamente eccentrici rispetto alla loro funzione tradizionale. Infatti, ci sono studi che dimostrano come l’innesco del processo creativo sia quasi sempre casuale. Partendo da questo dato, abbiamo scelto di dedicare la metà dello spazio di superficie disponibile alle zone informali: area pranzo, cucina, sala videogiochi, calcio balilla, aree riunioni modulabili, addirittura una sala piena di palle da cui emergono sedute “iceberg” dove abbandonarsi al brainstorming e tentare un canestro una volta trovata l’idea giusta. In questi luoghi il tipo di comunicazione può essere solo informale e il divertimento diventa uno strumento per guardare le cose da un punto di vista inedito.

E poi l’arte.

LB Già. Un altro aspetto a cui teniamo molto è l’introduzione dell’arte nei nostri progetti: nel caso di IPG abbiamo coinvolto Millo, uno street artist che ha decorato la “piazza” del complesso ufficio, cioè lo spazio più centrale e importante. Per noi l’arte è un altro modo per cambiare prospettiva, coltivando ancora una volta l’originalità e il divertimento.

HeadQuarter IPG McCann a Milano. © FaseModus

Su quali progetti siete impegnati al momento e quali vedremo presto realizzati?

LB Stiamo progettando un complesso uffici vicino a Piazzale Maciachini che verrà occupato da una società di consulenza. Originariamente l’edificio ospitava una banca svizzera e ne restano alcune tracce antiquate: il corridoio dove erano collocate le vending machine è stretto e angusto, così abbiamo deciso di smantellarlo completamente, nella convinzione che i luoghi di lavoro contemporanei debbano essere innanzitutto luoghi di socialità, accoglienti e confortevoli, come detto prima. Lo stesso meccanismo, del resto, si attiva negli spazi pubblici: se ci pensiamo, la piazza cittadina non è più un luogo di pura rappresentazione ma di incontro e di inciampo su eventi alternativi rispetto al quotidiano.

SC Stiamo lavorando con Caleffi, per la progettazione del primo punto vendita e presto di un secondo negozio a Milano, in aggiunta alla realizzazione dello store aziendale. Proseguiremo la consolidata collaborazione con Olio Carli, in un percorso che ci sta dando molte soddisfazioni. Come anticipato, stiamo poi avviando un nuovo progetto con un importante brand di moda ancora top-secret.

LB Stiamo infine lavorando alla realizzazione di un complesso produttivo che si innesta nella filiera del parmigiano reggiano di montagna: si tratta di un impianto di stagionatura sulle colline di Fornovo e consiste in un volume alto 12 metri inserito in contesto molto delicato in diretta relazione con il caseificio della società Ferrari Giovanni Industria Casearia. La soluzione che abbiamo adottato è stata quella di semi-interrare il reparto produzione in modo da creare un’interfaccia con il paesaggio. L’edificio è green non solo in termini costruttivi ma anche in termini visivi: l’obiettivo era quello di non nascondere il volume ma di farlo entrare in armonia con il contesto. La fase esecutiva inizierà nel mese di febbraio, abbiamo ricevuto l’approvazione di tutte le commissioni coinvolte e ci aspettiamo molto dal progetto.

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