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Arnaldo Pomodoro e le sue monumentali sculture tra arte e architettura

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Collocate negli spazi pubblici in giro per il mondo, le sculture di Arnaldo Pomodoro sono parte integrante del tessuto urbano in un dialogo continuo con le piazze di grandi città.

Abbiamo incontrato Federico Giani, curatore della Fondazione Arnaldo Pomodoro, che ci ha accolti in un luogo simbolico, nel cuore dei Navigli in zona Darsena, negli spazi di Via Vigevano 5. 

Destinato allo studio, agli archivi ma anche alla creatività e alla sperimentazione, lo Studio del Maestro è aperto oggi non solo agli esperti di arte contemporanea, ma anche ai giovani artisti esordienti e a tutti coloro che desiderano conoscere e vivere un’esperienza unica attraverso la scoperta dei luoghi e dell’evoluzione di uno dei più grandi esponenti dell’arte contemporanea, ripercorrendo la sua straordinaria carriera artistica.

Studio Arnaldo Pomodoro, Milano – Foto: Andrea Boni

La Fondazione Arnaldo Pomodoro rappresenta una realtà importante nel mondo dell’arte contemporanea. Ci può raccontare la vostra “mission” e quali sono i progetti che animano la vostra attività?

La Fondazione nasce nel 1995, per volontà di Arnaldo Pomodoro, con un duplice scopo: da un lato garantire la conservazione e la valorizzazione della sua opera, e dall’altro creare uno spazio di studio e confronto sui temi dell’arte contemporanea, dalle esperienze delle avanguardie fino alle più recenti prospettive, mirando a un coinvolgimento profondo e globale con le persone e la società. I due piani di azione si intrecciano spesso, soprattutto nei progetti espositivi e didattici che realizziamo, anche perché inevitabilmente ci ritroviamo ad attingere all’opera e alla storia di Arnaldo per creare i materiali e i contenuti che trasmettiamo al pubblico, soprattutto alle nuove generazioni, sia di fruitori dell’arte che di artisti.

Uno dei progetti più consistenti ai quali stiamo lavorando, ormai da qualche anno, è quello del Catalogo ragionato online dell’artista. Proprio ora stiamo mettendo a punto la prossima sezione, che verrà pubblicata a fine 2022, dedicata agli Studi progettuali, cioè a quei materiali che costituiscono il “laboratorio del pensiero” di Arnaldo, l’ideazione di progetti e sculture di ampie dimensioni e respiro, caratterizzati da un dialogo costante con l’ambiente e con l’architettura, che è proprio l’argomento della nostra intervista.

arnaldo pomodoro
Studio Arnaldo Pomodoro, Milano – Foto: Andrea Boni

Quale funzione svolge oggi l’arte scultorea nelle nostre città?

Su questo tema penso sia ancora indispensabile partire dalle riflessioni contenute nell’Estetica di Hegel e ne L’arte e lo spazio di Heidegger, che hanno avviato e nutrito il dibattito sul senso e sulla funzione della scultura nel corso dell’ultimo secolo. Oggi la scultura non è più – non può più essere – pensata esclusivamente o prioritariamente attraverso le categorie della rappresentazione, del contenuto narrativo o dell’iconografia. La scultura deve esercitare un’azione sulla realtà e sullo spazio, qualcosa di analogo a ciò che le scienze umane definiscono come agency per le persone: “una presa di un proprio spazio, entro lo spazio maggiore dove si vive o ci si muove” direbbe Hegel, un “incorporare” e “instaurare luoghi” e “aprirsi di contrade per un possibile abitare di uomini e cose”, per usare le parole di Heidegger, o ancora, come scrisse Chillida, “una funzione dello spazio”, uno spazio “prodotto”, uno spazio nuovo reso percepibile ed effettivo dalla presenza della scultura.

È in questo senso, in contrapposizione con una funzione celebrativa attribuita al monumento e a certe architetture monumentali del passato, che Arnaldo ha sempre inteso i suoi interventi scultorei nelle piazze e negli spazi pubblici come “riferimenti nello spazio”, come “oggetti importanti in senso di percezione e di orientamento nello spazio-tempo in cui viviamo”, “nuclei, o cristalli, oppure occhi, o fuochi, per la frontiera e per il viaggio, per l’immaginazione, per la complessità”. Penso che questa definizione calzi molto bene per opere quali il Grande disco (1972) di Piazza Meda a Milano, l’Obelisco ‘Cassodoro’ (1988) di Lampedusa o la Lancia di luce per Terni (1984-1991).

Grande disco, 1972 – bronzo, ø 450 cm (CR 543) Milano, Piazza Meda – Foto: Andrea Boni

Quali caratteristiche deve avere una scultura per inserirsi in un determinato ambiente urbano?

Per Arnaldo una scultura “ha senso quando trasforma il luogo in cui è posta, quando ha una valenza testimoniale del proprio tempo, cioè quando riesce ad improntare di sé un contesto, per arricchirlo di ulteriori stratificazioni di memoria”. La pura e semplice tridimensionalità non basta a qualificare come “scultura” un oggetto: immagino che tutti abbiano in mente interventi in spazi pubblici ai quali riferire questa constatazione. La scultura è tale solo se riesce ad esprimere il rapporto di complessità che intercorre tra l’uomo e la realtà, se oltre ad agire su un piano fisico, ad occupare uno spazio, riesce anche ad attivare un piano emozionale, intellettuale, sociale, componenti che – con quella fisica – concorrono a caratterizzare e dare senso e forma allo spazio. 

Gillo Dorfles, parlando dell’arte pubblica, ha osservato come “la scultura destinata a inserirsi in un contesto urbano o in un paesaggio non dovrebbe mai essere scelta a posteriori, ma dovrebbe essere progettata già in partenza dall’artista per quella determinata ubicazione. Solo in questo modo l’artista potrà adattare al luogo deputato le caratteristiche del suo stile che riusciranno così a dominare l’ambiente, o, altre volte, verranno in certo senso motivate dallo stesso”.

Credo perciò che una delle caratteristiche fondamentali perché una scultura possa inserirsi nell’ambiente urbano in maniera efficace sia il raggiungimento di un rapporto organico con esso, un’integrazione e un’interazione effettive, non solo nominali. Questo rapporto è contemporaneamente la premessa e l’obiettivo dell’intervento scultoreo nello spazio urbano: tra scultura e spazio deve crearsi un dialogo, un rapporto che modifica reciprocamente gli interlocutori.

Se penso ad Arnaldo, uno dei suoi interventi più riusciti in questo senso mi pare quello del Papyrus per Darmstadt (1990), ma se dovessi fare un altro nome, pensando a opere pubbliche più o meno recenti a Milano, direi che Ago, filo e nodo (2000) di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen così come L.O.V.E. (2010) di Maurizio Cattelan costituiscono due esempi efficaci di scultura che è riuscita a instaurare un dialogo sia fisico che emozionale con il contesto.

Lancia di luce per Terni, 1984-1991 – acciaio inossidabile, corten e bronzo, altezza 30 m, sezione 5 × 5 × 5 m (CR 754) Terni, Corso del Popolo – Foto: Sergio Pagliaricci

In fase di progettazione di un’opera d’arte destinata al pubblico, quali sono le analisi sulle quali un artista è chiamato a riflettere? Come interagisce la sua visione degli spazi con il contesto ambientale, sociale e culturale?

Lo studio del luogo, sia esso urbano o naturale, nelle sue conformazioni e nel suo portato storico e sociale è il punto di partenza imprescindibile per qualsiasi scultore che intenda effettuare un intervento del genere che abbiamo delineato finora. Come questa interazione della scultura con il contesto si realizzi è un punto sempre delicato: la scultura deve inserirsi creando un impatto visivo che modifichi ma non stravolga del tutto la percezione del territorio.

Per Arnaldo, come lui stesso ha riassunto, il punto di partenza per la progettazione è “la relazione dell’opera con lo spazio in cui viene collocata. Il lavoro di individuazione delle proporzioni è fondamentale, è il vero sforzo iniziale per favorire l’inserimento armonioso dell’opera nel contesto. Studio a fondo ogni aspetto del luogo in cui deve essere collocata la scultura, ricevendone stimoli e visioni. Poi eseguo delle prove dimensionali con rilievi e sagome, a volte per una verifica ulteriore delle misure faccio addirittura costruire un modello al vero, come è avvenuto con i Pillari per Amaliehaven nel giardino reale di Copenaghen, o con la Sfera con sfera per il Cortile della Pigna in Vaticano. In quest’ultimo caso sono state le misure stesse dell’arco bramantesco, presente nel cortile, a indurmi a inserire la scultura nell’asse che prospetticamente si snoda fino a esso, in modo da entrare in quello spazio perfetto e quasi ripolarizzarlo”. 

Quando la scultura nasce da uno studio del contesto, in tutte le sue sfaccettature, allora la scultura diventa essa stessa nuovo contesto. Penso a quando fu chiesto ad Arnaldo di progettare il Nuovo Cimitero di Urbino (1973), rimasto poi irrealizzato a causa dell’incomprensione del progetto da parte dell’amministrazione pubblica: l’intervento, che si giocava su una scala urbanistica, proponeva una rivoluzione dell’idea stessa di spazio cimiteriale, con una visionarietà che ha pochi paragoni in Italia, forse solo con l’incompiuto Cimitero di San Cataldo di Aldo Rossi e Gianni Braghieri (1971-1978).

Sfera con sfera, 1989-1990 – bronzo, ø 400 cm (CR 846) Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cortile della Pigna – Foto: Carlo Orsi

In che modo l’arte contemporanea può integrarsi con la trasformazione e rigenerazione delle città del futuro?

Negli ultimi anni Arnaldo ha espresso in diverse occasioni la sua perplessità di fronte alla direzione intrapresa dall’evoluzione delle città, dall’emergere di una “nuova città” organizzata in funzione di “non-luoghi” come i centri commerciali e di infrastrutture come autostrade o aeroporti che, pur diventati fondamentali per il nostro modo di vivere, manifestano il progressivo impoverimento del tessuto storico e culturale che per tanti secoli ha determinato lo sviluppo di quelle stesse città. E un contesto impoverito rappresenta un grande ostacolo all’azione dell’artista, che sul e con il contesto è chiamato a dialogare: l’arte infatti nasce sempre da un tessuto storico-sociale, lo può interpretare e indirizzare ma alla base di una nuova visione dev’esserci necessariamente una memoria, da sviluppare così come da contraddire.

Tra i progetti più affascinanti di Arnaldo c’è senza dubbio la serie dei cosiddetti “progetti visionari”, sviluppata a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, in un clima che è lo stesso sotteso ai bellissimi progetti, quasi onirici, di Francesco Somaini per New York, o alle visioni futuristiche di Superstudio. Alla base dei progetti visionari di Arnaldo – penso in particolare al Movimento di crollo per Piazza Duomo a Milano (1972-1973) – c’era una riflessione urgente sul rapporto che lega tra loro gli spazi del vivere collettivo, le forme archetipe della geometria e dell’architettura, e la memoria – personale e comunitaria – come elemento fondante per la costruzione della contemporaneità. “Visionari” non significa “fantastici” o “impossibili”, significa “costruiti su una visione dello spazio e del luogo contraddistinta da una carica metaforica, da un’intuizione poetica dell’ambiente naturale o storico. Lo spirito che anima questi progetti è una volontà di riformulazione del mondo attraverso un’indagine delle tracce profonde che attraversano ogni luogo, restituite come forma attraverso il filtro dell’opera d’arte”. 

È forse in una funzione “visionaria” di questo tipo, cioè di consapevolezza del ruolo critico dell’arte, che la scultura pubblica può e potrà trovare il suo scopo nella società contemporanea, contribuendo anche alla trasformazione della città del futuro.

Papyrus per Darmstadt, 1990 – bronzo, cemento e corten (CR 871) Darmstadt, Hilpertstraße – Foto: Thomas Eicken

 

BIOGRAFIA

Arnaldo Pomodoro a Venezia, 2009. Foto: Carlo Orsi

Arnaldo Pomodoro, nato nel Montefeltro nel 1926, scultore riconosciuto a livello internazionale, vive e lavora a Milano, sua città d’adozione, dal 1954. Le sue opere sono presenti in spazi urbani in Italia e all’estero e nelle maggiori raccolte pubbliche del mondo. Memorabili mostre antologiche lo hanno consacrato artista tra i più significativi del panorama contemporaneo. Ha insegnato nei dipartimenti d’arte delle università americane: Stanford University, University of California a Berkeley, Mills College. Ha ricevuto molti premi e importanti riconoscimenti. Nel 1992 il Trinity College dell’Università di Dublino gli ha conferito la Laurea in Lettere honoris causa e nel 2001 l’Università di Ancona quella in Ingegneria edile-architettura.

Si ringrazia la Fondazione Arnaldo Pomodoro

www.fondazionearnaldopomodoro.it