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Sonia Pedrazzini, il mio design dal volto umano

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Designer, art director, sperimentatrice: il curriculum di Sonia Pedrazzini è il riflesso di un percorso multiforme, che la porta da sempre a lavorare su progetti di natura diversa, in bilico tra arte, design e comunicazione. Dal settore cosmetico all’alta profumeria, dall’oggettistica al mondo del packaging fino ad arrivare ai gioielli e ai complementi d’arredo, la sua ricerca inesausta ha dato origine a infiniti concept, creati per aziende e brand iconici, trovando la massima espressione ne Le Morandine, un progetto che traduce le celebri nature morte di Giorgio Morandi in una collezione di oggetti ad esse ispirati. Una varietà straordinaria controbilanciata da un approccio unico per poesia, umanità e bellezza, come emerge dal racconto della stessa Sonia in questa intervista esclusiva.

Dalla sua biografia professionale emerge un profilo sorprendentemente poliedrico, che spazia tra vari ambiti. Come si descriverebbe?

Mi definisco una contaminatrice. Nasco come product designer, legata quindi alle logiche della produzione in serie, una formazione che emerge soprattutto nell’attività che svolgo nel settore del packaging. Disegno complementi d’arredo, oggetti, visual merchandising, lavoro sulla commistione tra design e comunicazione ma sono attratta anche dal mondo dell’alto artigianato. Insomma, sono curiosa e mi piace sperimentare. Tuttavia, per la realizzazione di ogni progetto, qualunque esso sia, il mio punto di partenza resta il concept, che ha sempre a che fare con una riflessione, l’elaborazione di una poetica e un’autentica ricerca antropologica.

Come è nata l’idea de Le Morandine? Come si è sviluppato il progetto?

Può stupire, ma prima de Le Morandine non esistevano nel mondo del design riferimenti espliciti all’arte di Giorgio Morandi: noi abbiamo avuto l’idea di tridimensionalizzare e valorizzare in maniera inedita, attraverso colori e texture, gli oggetti comuni protagonisti delle sue opere.

In realtà, però, il progetto ha un’origine curiosa e risale a quando presentai una proposta creativa ad un’azienda in cerca di designer per la produzione di candele decorative per la tavola. In quell’occasione ebbi l’idea di proporre candele ispirate alle nature morte morandiane, ma l’idea fu giudicata troppo coraggiosa e venne scartata. Non rinunciai però a quell’intuizione e così, alcuni anni dopo, nel mio atelier di design (che ho scelto di mantenere tale, senza trasformarlo mai in un’azienda) sono nate Le Morandine.

Inizialmente, texture e colori dei vasi erano molto simili a quelli delle opere di Morandi, affinché il riferimento fosse chiaro, poi la ricerca si è evoluta e ampliata, in un percorso che mi ha consentito di arricchire la palette cromatica, orientandomi su tinte più contemporanee, e di aggiungere nuove forme. In particolare, l’introduzione di nuovi colori, per me molto importanti anche in virtù delle mie radici mediterranee, è stata un modo per accrescere e variare la carica emozionale degli oggetti. Anche le finiture hanno trovato nuove declinazioni, per esempio nei metallizzati oro, bronzo e platino, che conferiscono alla collezione un tocco quasi barocco.

Del resto, si tratta di un progetto davvero inesauribile, al cui interno si aprono continuamente nuovi orizzonti di studio della composizione, della forma, del colore, dello spazio, delle interazioni tra gli oggetti. Personalmente, io guardo a questi vasi come a degli attori protagonisti di storie diverse l’una dall’altra, che nascono anche grazie al contributo delle persone che li acquistano e che possono personalizzarli in modo libero, partecipando direttamente al processo di creazione e produzione.

Le Morandine diventano così degli oggetti affettivi, la cui collezione si costruisce sulla base dei propri desideri e della propria sensibilità. Non a caso, ci sono state anche numerose collaborazioni con fotografi che hanno dato la loro personale visione di questi oggetti, esprimendo se stessi attraverso i loro scatti.

Che cos’è per lei la bellezza in un oggetto?

Sono fermamente convinta che la bellezza salverà il mondo: so che è un luogo comune ma io ci credo, e mai come in questo periodo storico c’è stato tanto bisogno di bellezza e di armonia. Il design può fare molto in questo senso, può aiutare le persone, e per me in particolare l’aspetto umano è una caratteristica fondamentale: ogni mio progetto mira a suscitare un’emozione.

Come nel caso dei vasi progettati per Venini.

Esatto. I Geodi, che ho creato per la storica vetreria, nascono da una riflessione sulla cristalloterapia, e sono oggetti in vetro pensati come pietre preziose, che puntano a emanare influenze benefiche proprio attraverso questo materiale quasi primordiale, lasciato in parte grezzo opaco e in parte lavorato lucido, a contrasto.

In generale, guardo sempre ad ogni oggetto nella sua complessità, intendendolo come un’opera totale, olistica, pur senza tralasciare ovviamente i necessari aspetti commerciali.

A che cosa sta lavorando in questo momento?

Proprio ad un terzo vaso per Venini, che verrà presentato a gennaio.

Obiettivi per il futuro?

Vorrei collocare all’interno di una dimensione coerente e unica tutti i progetti che curo, affinché i tratti che mi caratterizzano come designer possano emergere all’interno di un racconto univoco. Mi piacerebbe poi esplorare più ambiti di ricerca interstiziali per trovare stimoli inediti e sperimentare inaspettate possibilità di ricerca, ponendomi domande sempre nuove.

Fotografie di Fabrizio Bellafante, Giui Russo, Fabrizio Polla Mattiot.