Si sviluppa in equilibrio tra due arti, l’architettura e la letteratura, la mostra “Divina Sezione. L’architettura italiana per la Divina Commedia” ideata da Luca Molinari e Chiara Ingrosso e in programma presso la Reggia di Caserta fino al 29 marzo 2018.
Nel processo di costruzione dell’evento spicca tra tutti lo studio di architettura milanese Piuarch, una presenza che non stupisce data la progettualità caleidoscopica che lo caratterizza e che può offrire un’interpretazione morfologica del primo dei mondi attraversati da Dante, l’Inferno, mutuando e aggiornando l’iconografia medievale, la struttura degli inferi e i suoi lineamenti geometrici e precisi.
Rievocando quel vortice concettuale e formale così affascinante da aver mosso intere generazioni di artisti, scrittori e registi e suscitato curiose rappresentazioni architettoniche nelle diverse epoche, le forme plastiche degli spazi disegnati da Piuarch si snodano secondo linee spezzate in un effetto prospettico piranesiano: l’impressione è quella di guardare, dall’alto, la macchina di punizione eterna che rappresenta l’ambiente più indelebile di quelli narrati nella Divina Commedia.
Il lavoro dello studio milanese celebra così, con altre settanta opere di architetti di diverse generazioni, il più illustre viaggio letterario ultraterreno tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, insinuando l’escatologia dantesca all’interno delle sale barocche del Vanvitelli.
“Lavoriamo da tempo con Luca Molinari e l’occasione di collaborare ancora una volta con lui in su un tema così caro all’identità culturale italiana e in un luogo così prestigioso è stata accolta con grande favore da tutti noi” commentano i quattro partner di Piuarch – Francesco Fresa, German Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Tricario. “Sperimentiamo sempre, nei progetti, riferimenti artistici, storici, sociali, culturali, per consegnare alla città e al contesto in cui lavoriamo un’architettura essenziale ma sempre eloquente, quasi un palinsesto astratto fatto di stratificazioni. La rilettura di Dante contenuta nell’immagine della nostra architettura è una conseguenza diretta della nostra vocazione a fare del progetto un contenitore multiforme e, appunto, caleidoscopico.”