Inaugurata nel febbraio 2014, la Torre Unicredit di Milano, progettata dall’architetto argentino César Pelli, è diventata in breve tempo uno dei simboli del quartiere Porta Nuova e più in generale della rinascita economica e urbanistica che ha caratterizzato gli anni recenti del capoluogo lombardo. Non è un caso quindi che proprio la Torre Unicredit sia la protagonista dello scatto vincitore del premio New Buildings 2020, promosso da Matrix4Design in collaborazione con Urban Photo Awards. Una fotografia resa unica dalla capacità di cogliere l’equilibrio tra architettura, luce e prospettiva per comunicare appieno l’impatto dell’edificio sul paesaggio urbano. Per saperne di più, abbiamo deciso di intervistare Rebeka Legović, autrice dello scatto e fotografa di professione.
Come nasce lo scatto della Torre Unicredit di Milano, vincitore del premio New Buildings? È il frutto dell’intuizione di un momento oppure di uno studio prolungato?
Lo scatto della Torre Unicredit di Milano nasce casualmente. Solitamente ogni mia fotografia è frutto di uno studio prolungato, di un’osservazione attenta della luce e delle forme. Questo invece è nato durante una passeggiata. Fortunatamente quel giorno portavo appresso la mia macchina fotografica ed era la prima volta che visitavo il quartiere Porta Nuova di Milano, quindi non conoscevo ancora bene le prospettive migliori e il gioco di luci che avrebbe potuto crearsi. Ero affascinata dalle forme imponenti e mi sono messa a scattare. Ovviamente, quando ti trovi del tutto impreparato in un determinato luogo e riesci a portare a casa uno scatto soddisfacente, nella maggior parte dei casi direi che non si tratta solo di fortuna, ma devi avere anche l’abilità di sguinzagliare tutto il sapere che possiedi e trarre il massimo in quelle circostanze.
Architettura, luce, prospettiva: quale elemento ha avuto maggior peso nell’elaborazione dello scatto?
L’architettura parla con un linguaggio che usa una grammatica fatta di forme, colori, rapporti tra vuoto e pieno, contrasti di luce e volumi in un assoluto silenzio. Tutto questo necessita di essere interpretato in immagini per potergli dare voce. Lo scatto in questione è nato dalla fusione di questi elementi, che hanno avuto lo stesso peso durante l’elaborazione.
Per quanto riguarda la luce direi che essa si alimenta di limpidezza diffusa ma anche di ambigue ombre che tagliano e separano superfici, e può far scoprire come funziona lo spazio in relazione al contesto urbano e all’identità molteplice di un edificio particolare. Gli effetti della luce nella fotografia di architettura il più delle volte non possono essere forzati ma possono assecondare le potenzialità espressive. La possibilità di vedere ci è data dalla luce, ed è proprio la luce il legame più forte tra fotografia e architettura. Fare una foto non è altro che catturare su una pellicola, o su un sensore, la luce, la stessa luce che crea e genera lo spazio. Se la parola fotografia vuol dire scrivere con la luce, potremmo dire che fare architettura non è altro che modellare attraverso la luce.
Non possiamo dimenticare poi il profondo rapporto che architettura e luce hanno con la prospettiva, che ha effetti significativi sulla percezione dell’immagine. La prospettiva dirige l’occhio dell’osservatore verso un punto particolare del fotogramma. Una composizione sarà tanto più intelligente quanto più la prospettiva dirigerà l’occhio verso ciò che è realmente significativo dell’immagine e quindi bisognerà usare questo aspetto in maniera sapiente. In pratica, architettura, luce e prospettiva si completano a vicenda.
Che cosa rappresenta per te questa vittoria?
Sono onorata che un magazine come Matrix4Design abbia scelto la mia fotografia come la migliore. È un grande riconoscimento per il lavoro che sto svolgendo soprattutto nell’ambito della fotografia di architettura. Quest’ultima, insieme alla fotografia di moda, è stata sempre il fulcro del mio interesse. Inoltre, è una grande soddisfazione che per il secondo anno di seguito il mio nome si ritrovi tra i vincitori del concorso URBAN Photo Awards.
Questa vittoria voglio dedicarla al mio maestro e amico, il compianto professor Guido Cecere, che amava tanto questo scatto incoraggiandomi sempre a non mollare.
Come descriveresti la relazione tra fotografia e architettura?
Nell’ambito delle discipline architettoniche, la fotografia ha assunto un ruolo sempre più centrale. Innanzitutto, essa costituisce un fondamentale strumento per la narrazione del progetto: è il documento che riproduce la realtà oggettiva dell’architettura fissandola nel tempo e nello spazio a servizio della memoria collettiva, ma è anche il mezzo privilegiato di interpretazione e rielaborazione personale del messaggio che un’opera di architettura trasmette. L’architettura è creata dall’architetto, ma se la vediamo attraverso una fotografia è anche creata dal fotografo.
Da sempre la fotografia dialoga con le teorie urbanistiche ed architettoniche del momento, e contribuisce a chiarirle e a diffonderle. Gli anni 2000 hanno dimostrato come un oggetto architettonico possa diventare materia mediatica e il fotografo colui capace di cogliere ed evidenziare la potenza di immagine che le architetture possiedono. È stato il periodo dell’esaltazione della fotogenia dei progetti, quando l’immagine sovrastava lo spazio costruito. Da allora, la situazione ha subito un’evoluzione, orientandosi verso una maturità, una maggiore consapevolezza del linguaggio fotografico anche in questo ambito.
Esistono quindi due entità distinte e complici che sono l’architettura e la fotografia. Lo scatto fotografico, nell’istante stesso in cui viene impresso, si fa portavoce di due linguaggi: quello del fotografo attraverso la fotografia stessa e quello dell’architetto attraverso l’architettura. In questo processo, che presuppone umiltà per comprendere, studio per conoscere, tempo per ascoltare e tecnica per realizzare, sta il fascino del lavoro fotografico.
Quali sono, secondo te, i tratti peculiari delle tue fotografie? Che cosa le rende riconoscibili? Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?
Non posso fare a meno dell’architettura, e non posso fare a meno della moda. Utilizzo entrambi i generi fotografici per esprimere le mie visioni, dando vita molto spesso a un interessante crossover tra architettura e moda. Sono attratta dal design e dalle linee pulite, e da come la luce interagisce con lo spazio circostante. Adoro il minimalismo, i colori potenti e una suggestiva composizione. Sono costantemente alla ricerca di luoghi che possano trasformarsi in mondi in cui le regole sono molto diverse, praticamente un’opportunità per sfuggire alla routine visiva. Solitamente ritraggo strutture imponenti in contrasto con la figura umana, il cielo e le nuvole. Quest’ultime sono spesso presenti nei miei lavori e rappresentano il metafisico, l’effimero, un punto d’incontro tra il palpabile e l’immateriale, tra conscio e subconscio, tra l’evocativo e il subliminale. Praticamente una meta-realtà di matrice onirica in cui reale e surreale si confrontano.
Nell’immortalare spazi senza tempo, plasmati dall’interazione della luce, dei colori e dei volumi, l’intento è dare corpo alle mie più intime visioni. Spesso mi allontano dalla rappresentazione realistica di un edificio e della figura umana adottando uno stile che si avvicina alla grafica o alla pittura. Conseguentemente ho notato che molte immagini suscitano dubbi, mettendo in discussione il linguaggio fotografico stesso.
Il mio stile è sicuramente emerso nel tempo. È qualcosa a cui ho inconsciamente lavorato. È importante trovare una propria strada, ma nulla arriva sotto forzature. Penso che un’immagine debba stimolare lo spettatore a creare la propria storia, e probabilmente ognuno ne crea una diversa. Non credo che una buona fotografia debba raccontare un’unica storia definitiva.
Come hai anticipato, nella tua carriera di fotografa ti occupi non solo di architettura, ma anche di moda e di paesaggio. C’è qualcosa che accomuna questi tre ambiti del tuo lavoro?
Architettura e moda ormai sono due linguaggi fotografici che spesso e volentieri cerco di fondere. I paesaggi poi, sono un’altra mia passione. Esplorare con la macchina fotografica il pianeta su cui viviamo credo sia una delle avventure più affascinanti e travolgenti. Nel mio caso moda, architettura e paesaggio sono accomunati dalla volontà di costruire visioni e scenari del tutto surreali, caratterizzati fortemente da un’allure metafisica, tanto nella scelta di geometrizzazioni urbane, quanto nella sublimazione di paesaggi naturali. Il mio desiderio è presentare e trasmettere allo spettatore una dimensione sino ad allora inimmaginabile, ma di perturbante nuova identità del reale.
In poche parole, che cos’è per te la fotografia?
Per me la fotografia è una sorta di meditazione. È pura passione in cui perdo la cognizione del tempo, e a volte, anche se non si direbbe, dello spazio.
La fotografia vincitrice del Premio New Buildings 2020 sarà esposta insieme alle altre nove fotografie finaliste in occasione della mostra fotografica New Buildings. Dieci fotografie raccontano le nuove icone dell’architettura urbana in programma dal 28 settembre al 10 ottobre 2020, durante Milano Design City, presso Solferino lab, lo showroom milanese di Fima Carlo Frattini, Megius e Scarabeo in via Solferino 36. La mostra verrà inaugurata lunedì 28 settembre alle ore 18 con un evento speciale. Non mancate!