Progettare la complessità. Non è da poco l’obiettivo che Vittorio Grassi si è posto nel 2005, l’anno di fondazione del suo studio di architettura a Milano, che oggi conta più di venti collaboratori al lavoro su un’ampia gamma di progetti selezionati sulla base dell’idea che a contare sia la qualità del lavoro più che la quantità. Oggi Vittorio Grassi Architects è una realtà che si nutre di competenze diversificate per metterle al servizio di una visione progettuale innovativa e ambiziosa che trova la sua massima espressione nella capacità di gestire contesti in cui agiscono molteplici fattori, da conciliare positivamente per creare nuovi spazi di vivibilità e attivare comportamenti virtuosi. Per saperne di più, abbiamo fatto alcune domande proprio a Vittorio Grassi. Ecco quello che ci ha detto.
Come descriverebbe la filosofia progettuale che caratterizza VGA?
Siamo uno studio internazionale che lavora sia in Italia sia all’estero, soprattutto in Nord Africa e nei Paesi del Golfo, dove attualmente realizziamo circa il 20% del nostro business. Ciò che ci contraddistingue è innanzitutto la varietà tipologica dei nostri progetti, che spaziano dal residenziale all’hospitality, dagli uffici ai restauri fino alle scuole e all’edilizia pubblica in generale. Il filo conduttore è la metodologia con la quale li affrontiamo, a partire dal dialogo con la committenza. Sul piano dello stile e dei materiali siamo estremamente versatili: i nostri progetti si adattano alle caratteristiche del luogo e alle esigenze specifiche che di volta in volta si presentano. Infine, un altro aspetto imprescindibile è la piena sostenibilità di ciò che costruiamo, un impegno al quale teniamo moltissimo.
Qual è il vostro punto forte?
Direi che i progetti che ci interessano di più sono quelli che presentano una particolare complessità. Spesso si tratta di edifici con una specificità tecnica molto elevata, in altri casi lavoriamo su masterplan articolati in cui è molto importante tenere conto di diversi fattori sociali e ambientali e gli obiettivi sono molteplici: favorire la condivisione degli spazi, creare aree verdi, potenziare la viabilità e in generale migliorare la vivibilità del luogo, in base alla sua destinazione d’uso.
Citava prima l’edilizia pubblica. Come vi approcciate a questo genere di progetti?
Posso cominciare da un esempio. Recentemente ci siamo dedicati alla progettazione di due scuole primarie a Fidenza e ad Albaredo d’Adige, vicino a Verona, e in questo caso la sfida è cominciata subito, con la partecipazione al concorso pubblico. Noi architetti siamo stati chiamati a proporre il progetto più bello, certo, ma anche più efficiente e rispettoso dei limiti di budget. Una volta acquisito il lavoro, ci siamo confrontati con il committente e con i suoi obiettivi, in un contesto nel quale occorre continuare a essere rigorosi sul controllo dei costi e allo stesso tempo gestire una serie di complessità che si presentano via via, di natura tecnologica, impiantistica, funzionale. Del resto, il processo edilizio coinvolge ormai tantissime figure specialistiche che vanno coordinate per arrivare a un prodotto compiuto nel giro di qualche anno. In questo senso, anche il tempo è un fattore da non sottovalutare.
Lo stesso livello di complessità, anche se di altro genere, lo ritrovate nelle ristrutturazioni. Qual è il vostro modus operandi?
Il caso delle ristrutturazioni e dei restauri è significativo. Ne abbiamo realizzati diversi, anche qui a Milano, intervenendo sia su edifici storici sia su edifici più recenti, risalenti agli Anni Settanta e Ottanta. Nelle ristrutturazioni si parte dalla constatazione che esiste già un valore proprio dell’immobile: agli architetti spetta il compito di aggiungere altro valore a quello del patrimonio edilizio. Questo impone di essere particolarmente smart nel capire come gestire la preesistenza, nel valutare che cosa va eliminato e che cosa va conservato, soprattutto se ci si trova a operare in contesti urbani delicati. Si aggiungono poi altre questioni sfidanti, a partire dal grande tema dell’efficientamento energetico.
Qualche esempio?
Tra i progetti più emblematici che abbiamo realizzato in questo ambito c’è sicuramente Cassala 22 a Milano, la ristrutturazione di un complesso uffici che ha incluso anche un ampliamento sul lato posteriore dell’edificio, completato salvaguardando le attività commerciali presenti nello stabile che sono rimaste aperte per tutta la fase di cantiere. Un altro esempio è l’intervento di via Principe Amedeo 5, sempre a Milano, un altro complesso uffici in cui ristrutturazione e ampliamento si sono innestati su un edificio storico, risalente a fine Ottocento: in questo caso, l’ampliamento è consistito principalmente nella realizzazione di un volume vetrato, nel pieno rispetto dello stile originario del complesso.
Parliamo di hospitality. Come sta cambiando il mondo dell’hotellerie? Individua delle tendenze forti che l’architetto è chiamato a interpretare?
L’hospitality è un settore estremamente specifico dal punto di vista progettuale. Una prima forte tendenza contemporanea è senza dubbio l’ibridazione degli spazi, particolarmente nei contesti urbani. Le strutture dispongono di spazi comuni, ristorante, bar, area co-working a cui possono accedere sia gli ospiti sia cittadini e visitatori occasionali. D’altro canto, il livello di privacy riservato agli ospiti è in costante aumento nelle camere, dove si punta alla totale disconnessione. Questo repentino passaggio dall’iperconnessione negli spazi comuni alla disconnessione negli spazi privati è una caratteristica degli hotel di oggi. Naturalmente poi queste tendenze vengono interpretate di volta in volta a seconda delle richieste della committenza: nel caso di grandi catene internazionali, come Melià e Starhotels, con le quali abbiamo lavorato, ci sono degli standard da rispettare. Tuttavia, questa esigenza va conciliata con un’altra importante tendenza attuale: la sempre maggiore caratterizzazione degli hotel, la ricerca di un’identità forte che affonda le radici nel contesto specifico in cui la struttura si colloca.
Da un lato gli hotel, dall’altro le abitazioni private. Qual è l’orientamento prevalente del mercato residenziale oggi?
Anche nel settore residenziale si ritrova questa tendenza all’ibridazione degli spazi, almeno parzialmente. Quando si parla di residenziale le tipologie possibili sono in realtà moltissime: abitazioni destinate alla vendita o all’affitto, co-living, senior housing, student housing… Sempre di più quello che le persone vogliono nel loro immobile sono spazi comuni di condivisione e spazi all’aperto. Inoltre, si cerca di ricavare anche negli appartamenti un piccolo ambiente di lavoro, motivo per il quale la dimensione della camera da letto, per esempio, si amplia. Questi accorgimenti fino a pochi anni fa non venivano richiesti dal mercato, oggi sì. Spetta all’architetto il compito di interpretare in modo innovativo il cambiamento.
L’attenzione al fattore umano e al contesto resta fondamentale. Quando abbiamo progettato una residenza alla Cecchignola destinata ai militari abbiamo adottato un approccio molto democratico e improntato alla socialità, nel contesto di un masterplan grande che prevede anche un parco. Abbiamo immaginato edifici sopraelevati di circa 1.5 m sul livello del terreno per fare in modo che tutti avessero dei terrazzi e nessuno un giardino privato e non creare così disuguaglianze. Volevamo che il verde fosse massimizzato e gestito al meglio, rimanendo a disposizione di tutti. Credo che gli architetti debbano proporsi di indirizzare e modellare il comportamento delle persone attraverso i loro interventi, per migliorare la vita individuale e collettiva.
Quali sono i progetti più importanti sui quali state lavorando in questo momento?
Tra i progetti più importanti ci sono sicuramente le due scuole prima citate, di cui apriremo i cantieri all’inizio del 2024; il nuovo Teatro Luxury Apartments gestito da Starhotels che comprende 160 appartamenti nel cuore di Firenze, in un luogo tutelato dall’UNESCO; un masterplan sulla Marina di Loano i cui lavori sono partiti in questi mesi; una villa di lusso in Kuwait in collaborazione con fornitori italiani; alcune caserme green destinate al Ministero della Difesa, una tipologia di progetto che potremmo definire “residenziale di servizio” visto che parte del complesso sarà anche abitato dalle famiglie dei militari. E poi ci sono molti altri progetti. Presto ne sentirete parlare.