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Il design tra limite e ironia: Matrix4Design incontra Alberto Alessi e Giulio Iacchetti

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Una conversazione sul design, originale e ironica come i suoi protagonisti. Lo scorso 13 marzo, presso il Centro Culturale di Milano, si è tenuto il primo dei tre incontri del ciclo Maledetto Design, curato da Alessandra Coppa e destinato ad accompagnarci tra riflessione e divertimento verso la prossima edizione del Salone del Mobile di Milano. Tre occasioni in cui architetti, designer e imprenditori si confrontano sul senso del design, sui limiti, le possibilità e le sfide del dare forma concreta alle idee. Il primo appuntamento, dal titolo Limite. La committenza e l’invenzione. ha coinvolto in un dialogo vivace due icone del design italiano come Alberto Alessi e Giulio Iacchetti, ai quali abbiamo fatto alcune domande proprio a partire dal tema discusso durante la serata. Ecco le loro (irriverenti) risposte.

Qual è l’elemento che non deve mai mancare nel rapporto tra creativo e imprenditore?

ALBERTO ALESSI: Secondo me una buona bottiglia di vino! Non sto scherzando: le cose migliori che ho fatto, per esempio, con Achille Castiglioni sono sempre capitate di fronte a un buon bicchiere.

GIULIO IACCHETTI: Io, devo dire, non ho mai potuto godere più di tanto di queste pause alcoliche, e un po’ me ne rammarico! Al di là di questo, è importante per un progettista che l’imprenditore stabilisca dei limiti, un recinto anche abbastanza rigido e alto, poi da scavalcare naturalmente con il progetto. Tuttavia, ribadisco, il limite è un fondamento del progetto. Pensare che l’imprenditore valido sia colui che lascia libero il progettista come una farfalla nel campo è un errore madornale.

Quindi le esigenze della produzione industriale e le richieste delle committenza sono uno stimolo e non un ostacolo per la creazione di oggetti di design?

GI: Come si direbbe in cucina, sono gli esaltatori dei sapori. Senza questi limiti, secondo me, il progetto non riuscirebbe neanche a decollare.

AA: Sono pienamente d’accordo. Aggiungo che la caratteristica del design italiano è appunto quella di saper porre dei briefing chiari, anche aspettandosi che poi il progettista trasgredisca gli stessi limiti imposti. Il segreto, per un’azienda, è quello di saper lavorare sul limite, sulla borderline, la linea di confine tra possibile e non possibile: in questo modo si riescono ad ottenere dei risultati che il marketing classico non sarebbe in grado di generare. Certo, servono intuizione, coraggio e una buona dose di propensione al rischio.

Se pensate ad un oggetto di design capace di unire in se stesso estetica, funzionalità e successo di mercato, che cosa vi viene in mente?

AA: L’uovo! Come diceva Bruno Munari, l’uovo è un oggetto perfetto per funzione e forma anche se non è creato dall’intelletto umano… anzi è fatto veramente “col culo”!

GI: Difficile aggiungere qualcosa dopo una sentenza del genere! Posso però dire che proprio oggi sono arrivato nel piccolo ufficio di un’azienda con cui collaboro e ho pensato che, dovendo mettere una sedia, avrei scelto la Box di Enzo Mari: quella sedia ha una qualità tale per cui funzionalità ed estetica non si distinguono più. Infatti, la ricetta buona è proprio quella in cui non si riescono più a scindere gli ingredienti gli uni dagli altri perché sono combinati perfettamente: cercare di capire dove comincia l’uno e inizia l’altro diventa in questi casi un esercizio inutile, forse addirittura fastidioso.

Se il designer potesse chiedere una sola cosa all’imprenditore che cosa chiederebbe? Viceversa, che cosa chiederebbe l’imprenditore al designer?

GI: Il designer chiederebbe sicuramente l’anticipo royalties! A parte gli scherzi, vorrei sottolineare che la prima volta che mi sono avvicinato ad Alessi avevo portato un progetto, quello di una caffettiera. Il dottor Alessi mi disse: ecco, la caffettiera anche no! Facciamo un’altra cosa! È bello vedere come spesso i desideri e gli interessi non coincidono. Se l’idea della caffettiera fosse stata accettata, per me alla lunga sarebbe stata una delusione. Voglio dire, il progetto era già stato curato e preparato, portarlo e sentirsi dire ok apparentemente sarebbe stato un successo ma in realtà la sfida è un’altra cosa. E qui torniamo al discorso del limite.

AA: Sono d’accordo. Io mi aspetto sempre dal designer che sappia innanzitutto ascoltare. Non nel senso che debba obbedire, ma è importante che sappia ascoltare la posizione dell’industria. Se non si riesce a dialogare, anche con toni vivaci, se non si riesce a entrare in sintonia con le diverse figure della filiera produttiva è molto difficile che si riesca a realizzare qualcosa di buono.