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Perdersi nelle città di Gabriele Basilico

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“Quello che mi interessa in modo costante, quasi ossessivo, è il paesaggio urbano contemporaneo, il fenomeno sociale ed estetico delle grandi, rapide, incontenibili trasformazioni in atto nelle città del pianeta, e penso che la fotografia sia stata, e continui forse a essere, uno strumento sensibile e particolarmente efficace per registrarlo.” – Gabriele Basilico

Pochi fotografi sono riusciti a catturare lo spirito delle città come Gabriele Basilico. L’iconicità dei suoi scatti, la loro pura bellezza non derivano soltanto dalla passione di Basilico per la mutevolezza del paesaggio urbano come metafora dell’inesausto sovrapporsi delle esperienze umane ma anche, e soprattutto, dall’attento lavoro documentario, dallo studio analitico del territorio e dell’architettura, così simile a quello di uno scienziato alle prese con l’oggetto della sua ricerca.

Shanghai, Rio de Janeiro, San Francisco, Mosca, Londra, Parigi, Istanbul, Tel Aviv, Boston, Liverpool, Roma, Berlino, Lisbona, Valencia, Gerusalemme, Beirut, Amman, Montecarlo, Hong Kong e ovviamente la sua Milano: fino all’11 febbraio 2024, negli spazi del Lucernario e della Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano, è ancora possibile esplorare – dall’alto, dal basso, dall’interno – le città di Gabriele Basilico, viste attraverso i suoi occhi sensibili e accorti.

© Vincenzo Bruno

La mostra, intitolata Gabriele Basilico. Le mie città, è l’occasione per esporre 200 opere selezionate dall’Archivio del fotografo – le stampe del progetto Sezioni del paesaggio italiano in aggiunta alle fotografie di oltre 40 città del mondo ritratte in carriera – con l’obiettivo di onorare i 10 anni dalla sua scomparsa. Una celebrazione portata avanti anche dalla Triennale, che fino allo scorso 7 gennaio ha ospitato a sua volta altre 13 serie fotografiche e centinaia di opere capaci di mostrare al pubblico il rapporto unico di Basilico con Milano.

Il tema della città intesa come labirinto di vie e di piazze, come reticolo di assi principali e svolte, diventa a Palazzo Reale anche il principio cardine dell’allestimento, progettato da ZDA Zanetti Design Architettura in collaborazione con UniFor come sponsor tecnico e con Viabizzuno per l’impianto illuminotecnico.

Come spiegato dall’architetto Umberto Zanetti nel testo di presentazione della mostra, l’idea di creare una “macchina scenica” modulare, capace di evocare ambientazioni industriali a contrasto con la decadente sontuosità della sale del Palazzo, ha generato “il progetto di uno spazio dove le tante, tantissime, città di Basilico fossero da scoprire lungo un percorso di immagini tortuoso, sorprendente e soprattutto libero, senza fili, senza programmi.

© Vincenzo Bruno

La struttura portante dell’allestimento, composta da telai trapezoidali metallici a vista, verniciati e assemblati con una doppia serie di pannelli modulari in multistrato di pioppo grezzi, presenta le fotografie posate su una mensola continua per evocare una sensazione di informale familiarità. I pannelli rivolti lungo assi di percorso sono posizionati in verticale, quelli nelle corti disegnano una superficie leggermente obliqua, sottolineando una situazione di un “esterno” e di un “interno”.

Il risultato è un’architettura espositiva scultorea e allo stesso tempo discreta, che lascia spazio all’impatto delle opere sul visitatore e testimonia la profonda comprensione di Umberto Zanetti rispetto al lavoro di Basilico. Una comprensione che deriva da un rapporto antico, coltivato sin dagli Anni Novanta, come lui stesso racconta:

Il mio primo incontro con Gabriele risale alla seconda metà degli Anni Novanta, quando lui era uno dei principali fotografi di UniFor, con la quale il mio studio stava lavorando a una serie di grandi commesse per uffici. Lo ritrovai poi all’inaugurazione della mostra MOCKBA XXI Secolo che avevo curato in Triennale contestualmente alla pubblicazione dell’omonimo libro fotografico edito da Actar. In quell’occasione mi chiese di lavorare con lui a un nuovo progetto su Mosca. Dopo un anno, lo chiamai per proporgli di tornare nella capitale russa per fotografarla da un punto di vista inedito, dall’alto delle sette torri staliniane. Fu un progetto rocambolesco, difficile, che portammo a termine insieme e che culminò in un libro e in una mostra, inaugurata nel 2008 alla Cité de l’architecture a Parigi. Lì si consolidò la nostra amicizia e io ho continuato a collaborare agli allestimenti delle sue mostre fino alla sua scomparsa nel 2013.”

© Vincenzo Bruno

La relazione di Gabriele Basilico con il mondo dell’architettura innerva la sua intera attività di fotografo e il valore unico del suo sguardo posato sugli edifici urbani e sul paesaggio rimane ancora oggi impressionante per stratificazione e acume. Continua Zanetti:

“L’eredità che ci lascia è innanzitutto una vastissima documentazione del paesaggio urbano, priva di giudizio. Gabriele testimoniava lo stato del paesaggio e le sue trasformazioni, riuscendo a coniugare la fotografia di architettura e la fotografia di paesaggio. Quante altre città avrebbe potuto fotografare ancora! Ciascuna con una sua modalità specifica, perché lui era un maestro nella preparazione, amava dedicarsi allo studio di mappe e planimetrie prima scattare. Per ogni città cercava una chiave di interpretazione, uno spunto di racconto.”

E conclude: “Proprio a Mosca, condividendo con lui le mie giornate, mi accorsi della sua urgenza di fotografare ciò che vedeva e allo stesso tempo della sua apertura alla conoscenza, all’ascolto di chiunque potesse aiutarlo a cogliere lo spirito del luogo. Lui voleva capire una città, viverla prima ancora che fotografarla. Non era affatto distante da ciò che ritraeva, diventava partecipe della città, si immergeva in essa senza mai giudicare, ma semplicemente ritraendo la realtà, si trattasse di una periferia o di un monumento. Non ci sono gerarchie, ogni cosa ha dignità nelle fotografie di Gabriele Basilico. Questo è il grande insegnamento che ci ha lasciato.”