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Da dove arrivano le maniglie?

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In tempi di emergenza sanitaria, anche il gesto più automatico può diventare meritevole di attenzione. E spesso questi gesti hanno a che fare con la struttura dei luoghi che abitiamo e frequentiamo, dato che non esiste forma di espressione (di arte, direbbero alcuni) più fisica dell’architettura.

Un dettaglio degli edifici a cui pensiamo raramente e che pure è fondamentale, anche solo per il fatto che le tocchiamo così spesso, sono le maniglie. L’Art Magazine internazionale Apollo, ripreso in Italia anche da Il Post, ha ricostruito la storia di questi piccoli oggetti che da sempre fungono da interfaccia tra noi e gli edifici e che oggi sono diventati, loro malgrado, protagonisti di svariate misure di precauzione.

Maniglia Diva di Luca Casini per Olivari / 2020

Ci sono poche informazioni sull’origine delle maniglie, ma possiamo farla risalire con un buon margine di certezza alla nascita delle porte, inizialmente interpretate nella loro funzione da chiavistelli, pomelli, addirittura pezzi di spago o lacci di cuoio.

Già nel Settecento in Europa centrale sulle porte d’ingresso si diffusero maniglie a leva dal design sofisticato, di solito in ferro battuto, ma erano per lo più oggetti prodotti localmente, con materiali facilmente reperibili, tra cui legno e ceramica, e scarsa cura progettuale.

Il brevetto della prima maniglia inventata da Osborne Dorsey nel 1878 / © Handles Inc.

Dobbiamo arrivare al 1878 perché l’inventore afroamericano Osborn Dorsey registri negli Stati Uniti il primo brevetto di una maniglia: da allora, però, e per tutto il XX secolo, questa tipologia di oggetto seppe risvegliare finalmente non solo l’interesse degli artigiani ma quello degli architetti, probabilmente influenzati anche dall’avvento dell’Art Nouveau.

Grazie a questa corrente artistica e culturale, le maniglie vennero percepite sempre di più come un elemento architettonico a tutti gli effetti, da integrare alle linee, ricche e sinuose, degli edifici: lo dimostrano per esempio i disegni di Antoni Gaudì, celebre artista e architetto catalano le cui maniglie sono tuttora in produzione.

Un progetto di maniglia firmato da Antoni Gaudì / © BD Barcelona Design

Altri che diedero il loro fondamentale contributo a questa nicchia di progetti architettonici furono i maestri del Bauhaus, secondo i quali anche il più piccolo elemento doveva essere in grado di esprimere appieno lo spirito d’insieme, nel loro caso identificato con un rigoroso minimalismo.

Non a caso, nel 1923 la maniglia modernista progettata da Walter Gropius, basata su una sezione quadrata e una cilindrica, divenne uno dei primi prodotti ad essere commercializzati dal Bauhaus nel tentativo di raccogliere fondi e oggi si trova ancora in diversi edifici pubblici tedeschi.

La maniglia più influente della Storia fu però creata da un filosofo, laureato in ingegneria: la progettò Ludwig Wittgenstein per la casa di sua sorella a Vienna nel 1928 e si presenta come una semplice barra di metallo piegata, antenata diretta delle maniglie come le conosciamo noi oggi.

La maniglia di casa Wittgenstein / © Paul Holdengraber

Nel Secondo Dopoguerra, il rapido sviluppo del design industriale che si verificò in Germania, in Francia e in Italia fece esplodere il mercato delle maniglie, le quali diventarono protagoniste della scena grazie ai blasonati designer che vi si cimentarono, da Gio Ponti ad Arne Jacobson, e alle nuove aziende nate per una produzione di fascia alta.

La maniglia di Max Pajetta per Olivari / 2020

Da allora, l’offerta di maniglie va di pari passo con la creatività dei designer, e scommettiamo che la situazione attuale, che ci ha portato a guardarle con altri occhi, potrà presto diventare la scusa perfetta per inventarne di nuove, ancora più iconiche.